di Giuseppe Femia

 

 

Il personaggio di Lady Whistledown nell’universo di Bridgerton, serie Netflix di grande successo, offre osservazioni e rappresentazioni cliniche suggestive che si prestano a considerazioni di diverso ordine. Anche una serie di largo consumo e di intrattenimento apre un canale di riflessione in chiave psicologica.

In primis, tutta la serie evidenzia il tema di quella incessante ricerca di approvazione da cui spesso dipendiamo, quella che potremmo definire “sociotropia” come un bisogno perpetuo di approvazione e validazione dagli altri e dagli standard di riferimento in funzione della propria identità che da sola non esiste; valore questo di cui siamo al contempo vittime e fautori.

Si muove sotterranea un’acuta critica ai valori portanti dell’apparire e dell’estetica come criterio assoluto su cui si fonda il valore personale. Il pettegolezzo regna incontrastato e ne conseguono i costi di doversi adattare al giudizio collettivo per esserne sempre all’altezza. Ricca di cliché la fiction rimane ben fatta, attira lo spettatore fino alla fine.

In secondo luogo, il personaggio portante di Lady Whistledown, filo rosso della serie, sembra offrire una fotografia di quella ambivalenza in cui spesso ci imbattiamo nella pratica clinica; ovvero, un profilo apparente che copre desideri, rappresentazioni parallele di sé e un nucleo centrale che si palesa solo in un secondo momento. Ciò che ci appare è la versione che il paziente offre di se stesso, scoprendo solo successivamente la parte più centrale della sua persona.

Nel caso specifico, Lady Whistledown si presenta come una donna che non aderendo agli standard dell’epoca a causa della sua goffaggine e rotondità, si nasconde, rimanendo ai margini, in un completo anonimato, ma diventando osservatrice silenziosa e abile penna che denuncia gli stereotipi, le bassezze e le ipocrisie del contesto in cui vive.

Diventa abile imprenditrice di se stessa traslando la sua vergogna nella critica e nel sarcasmo con i quali dipinge un chiaro ritratto della società che tanto subiva.

Goffa, inadeguata, timida, inibita, vittima di una forte esclusione sociale, vive però, parallelamente con mistero ed una quota di manipolazione – un inganno simil candido – che tutto nasconde – e dietro il quale giace un’altra parte della sua composita personalità: grandiosa, intelligente, sarcastica che tutti conoscono e riconoscono come geniale e autorevole. Proprio la più indifesa e bistrattata tra tutti i personaggi dell’universo di Bridgerton: Penelope Featherington, da sempre svalutata con disprezzo dalla mamma, rimproverata per la sua goffaggine, svalutata, governa la mente sociale e la psicologia della borghesia aristocratica, dalla regina (che attentamente segue ciò che l’anonimata donna scrive) sino all’ultima delle principianti che ne subiscono il giudizio, la sentenza oppure l’inaspettata gloria.

Effettivamente, il personaggio di Penelope sembra rappresentare un profilo personologico caratterizzato da una credenza di inadeguatezza e scarsa amabilità che si accompagna a imbarazzo, ritiro e vergogna. Nulla di questo quadro apparente potrebbe presagire e rivelare l’invidia, il malanimo, il sarcasmo e l’intelligenza sociale che caratterizzerà invece la sua scrittura.

Alla fine il riscatto e il risarcimento, dunque un passaggio interessante quello della Lady: dal vissuto di esclusione verso il dominio intrigante e narcisistico che affascina e punisce.

Questo processo potrebbe somigliare a quello che spesso osserviamo nella nostra pratica clinica: dapprima ci confrontiamo con l’immagine che la persona offre di sé per poi ricostruire, gradualmente, il suo funzionamento e mettere in luce anche gli aspetti più reconditi della sua personalità, come in una fiction in cui si cerca l’evoluzione, ci si anticipa la trama, cercando di prevedere il finale, la verità, oltre la narrazione.

Appare davvero interessante l’evoluzione di questo personaggio: il passaggio da una credenza di Sé in quanto brutta, rifiutata, inabile e inferiore agli altri, in direzione di un alter di Sé, nascosto, ma potentissimo, punitivo giusto e superiore.

Questo si osserva non di rado in ambito clinico, ribadendo l’importanza di non rivolgersi a categorie asfittiche, categoriali, di riferimento, bensì a concetti dimensionali che meglio riflettono la complessità della personalità e dei suoi diversi domini, sfaccettature e peculiarità.”.

Dunque, quali sono gli scopi della nostra Lady?

La sua genialità sembra mettersi a servizio di un bisogno di riconoscimento, rivalsa, potere, specialità. Eppure rimane dolce, empatica, mantenendo una posizione di potere assoluto, tutti dipendono dal suo giudizio, esattamente come lei dipende da quello degli altri nella vita reale in cui si sente indegna di attenzione, attanagliata dal rifiuto.

Insomma la rappresentazione che la fiction offre, così come accade con il cinema, può essere letta in chiave psicologica e diventare fonte per avviare ragionamenti, o per meglio dire speculazioni cliniche che catturano e/o fotografano quadri personologici che rivediamo nella realtà.

E chissà quale sarà il proseguire della Lady…