Implicazioni cliniche in età adulta: il ruolo della disorganizzazione dell’attaccamento in psicopatologia
Negli ultimi anno lo studio dell’attaccamento disorganizzato ha assunto particolare rilievo per i collegamenti che sono stati stabiliti tra tale modalità di relazione ed esiti psicopatologici nell’età adulta.
In particolare, nel presente lavoro, si approfondirà l’ipotesi avanzata da Liotti, in una prospettiva cognitivo-evoluzionista, della disorganizzazione dell’attaccamento come nucleo di alcune sindromi psicopatologiche quali i DD e il DBP. Tale ipotesi permetterebbe di spiegare bene il coesistere di gravi difficoltà nella regolazione delle emozioni e di rappresentazioni non integrate e mutevoli di sé e degli altri. La mancata integrazione delle rappresentazioni di sé con l’altro può andare dall’estremo dell’alternarsi di “altre personalità” che compongono il Disturbo Dissociativo dell’Identità, alle oscillazioni fra rappresentazioni scisse, idealizzate e negative, di sé e degli altri nel DBP. La disorganizzazione dell’attaccamento, se seguita nel corso dello sviluppo da esperienze di maltrattamento o di seduzione ad opera delle FdA, oppure se seguita da altre esperienze dissocianti come l’esposizione alla menzogna sistematica (Bowlby, 1988; Liotti, 1994, 2005), sembra dunque avere, fra i molti possibili, due esiti psicopatologici estremi, il DID e il DBP.
L’accertata correlazione tra la disorganizzazione dell’attaccamento nel bambino e la mancata elaborazione di lutti o traumi in chi lo accudisce (Lyons-Ruth e Jiacobvitz, 1999) ha permesso di effettuare le prime ricerche empiriche, miranti a convalidare o falsificare l’ipotesi che la disorganizzazione sia un fattore di rischio importante nella genesi del DBP e dei DD. I pazienti borderline e dissociativi dovrebbero, secondo l’ipotesi, avere maggiore probabilità, rispetto al altri pazienti psichiatrici, di essere figli di genitori con lutti o traumi non elaborati nel periodo in cui i pazienti sviluppavano i primi pattern di attaccamento. Un’estesa indagine epidemiologica basata su questa ipotesi ha confermato l’associazione statistica fra lutti e traumi irrisolti nella madre e sviluppo di DBP (Liotti et al., 2000) o di DD (Pasquini et al., 2002) nei figli. Relazioni fra esperienze di lutto non risolte nei genitori e rischio di sviluppi psicopatologici nei figli erano state trovate per i disturbi dissociativi anche in un precedente studio clinico (Liotti, Intreccialagli, Cecere, 1991), e sono state identificate anche da Dalle Grave in campioni di DCA, la cui comorbilità col DBP era certamente elevata. Non è però solo il lutto non elaborato dei genitori a costituire un fattore di rischio per i disturbi delle funzioni organizzatrici della coscienza nella prole. Traumi non elaborati, appartenenti al lontano passato della FdA, possono avere un’influenza patogena analoga. Ed anche traumi non elaborati nella generazione precedente a quella dei genitori possono riflettersi nella disorganizzazione dell’attaccamento di un bambino. Gli effetti dei traumi sperimentati dai genitori sull’organizzazione dell’attaccamento dei discendenti, dunque, in assenza di interventi psicoterapeutici correttivi, sembrano trasmettersi attraverso le generazioni. E’ questo un caso particolare della tendenza dei pattern di attaccamento a riprodursi da una generazione all’altra. A questo proposito Main (2008) parla di “effetto del trauma sulla seconda generazione”. Ciò si spiega considerando le inevitabili interazioni fra memorie relative alle proprie esperienze di attaccamento e stile di accudimento dei genitori. L’esperienza di diventare madre, o padre, è uno stimolo potente a rievocare, con gradi diversi di coscienza, le memorie di come si era stati accuditi dai propri genitori. Queste memorie indirizzano il modo di accudire i propri figli. In assenza di riflessione cosciente, è probabile che le indirizzino nel senso di una ripetizione nei confronti dei figli del comportamento che avevano avuto un tempo i propri genitori. Se le memorie di attaccamento dei genitori convogliano ricordi non elaborati di maltrattamenti da parte delle loro FdA, o altre esperienze narrabili solo attraverso le drammatiche e dissociate rappresentazioni del triangolo drammatico, allora diviene evidente come il genitore, assorbito in questi ricordi traumatici, al bambino appaia spaventato e capace di incutere paura. Si ripetono così, in una nuova generazione, le condizioni interattive che conducono alla disorganizzazione dell’attaccamento (Liotti, 2001).