Disorganizzazione dell’attaccamento e disturbi dissociativi
Disorganizzazione e dissociazione
La dissociazione riguarda il distogliersi da alcuni aspetti dell’ambiente, presumibilmente in modo non voluto. Ha una funzione adattiva, in quanto consente a una persona di non essere sopraffatta nell’impatto con il trauma.
Se una persona sperimenta una minaccia, la risposta immediata è l’allarme, associato con l’iperattivazione del sistema nervoso simpatico. Se la minaccia continua per lungo tempo, tuttavia, e/o una persona è del tutto priva d’aiuto, un’alta attivazione prolungata diventa difficile da sopportare. La persona può allora entrare in uno stato dissociativo che è differente, sia dal punto di vista comportamentale che fisiologico, dallo stato di attivazione elevata. La reazione comportamentale è di congelamento accompagnato a uno stato simile alla trance.
Perry et al. hanno sostenuto che l’evoluzione ha predisposto i bambini, nei primi anni ma anche negli anni successivi, a sperimentare immediatamente stati dissociativi di fronte ad una minaccia. Secondo questi autori la sopravvivenza è più probabile per quei bambini che non combattono o non fuggono rispetto al pericolo, ma sperimentano piuttosto degli stati dissociativi. Gli autori sostengono che il prezzo per il bambino dello sperimentare frequentemente stati dissociativi, tuttavia, è l’acquisizione di una rete neurale sensibilizzata e compromessa. Una volta che si sia verificata una sensibilizzazione, è sufficiente una stimolazione minore per evocare stati dissociativi. Così un bambino che è entrato ripetutamente in stati dissociativi, in condizioni di lieve stress entrerà più prontamente di altri in tali stati. Se, è il genitore stesso la fonte di pericolo, come descritto da Main ed Hesse, il bambino può vivere la minaccia come soverchiante ed entrare in stati dissociativi. Segni evidenti di dissociazione possono essere osservati in alcuni bambini durante la SS ( Lyons-Ruth e Jiacobvitz, 1999). Questi bambini, abusati e figli di genitori che sono essi stessi irrisolti rispetto a un trauma o una perdita mostrano, come discusso in precedenza, un crollo delle strategie d’attaccamento. Poiché sperimentano questa paura continuata senza soluzione, essi sono a rischio di entrare in uno stato dissociativo minore, durante la SS e in altre condizioni minacciose.
Attaccamento disorganizzato e dissociazione patologica nella vita adulta
Liotti ha ipotizzato che la disorganizzazione e il disorientamento nella prima infanzia aumentino la vulnerabilità del bambino a entrare in stati alterati di coscienza o ad avere disturbi dissociativi. L’autore (1999a) partendo dalla somiglianza fenotipica rilevata da Main e Morgan tra stati dissociativi da una parte, e dall’altra (1) il comportamento di attaccamento infantile osservato alla SS e (2) pause nel monitoraggio del ragionamento o del discorso osservati negli adulti durante la discussione di esperienze traumatiche all’AAI, si propone di identificare somiglianze non solo nel comportamento esterno ma anche tra i tipi di processo cognitivo che accompagnano questi comportamenti. In particolare, traspone il concetto di dissociazione di Janet, inteso come crollo basilare, di fronte ad avvenimenti traumatici, delle funzioni integrative e significanti di coscienza e memoria, in termini di psicologia cognitiva contemporanea implicante l’integrazione coerente e riuscita di ricordi espliciti ed impliciti. Lo scopo è, quindi, quello di identificare analogie tra attaccamento disorganizzato e stati dissociativi, riguardo a un difetto nelle funzioni integrative della memoria. I ricordi impliciti dei pattern ripetitivi delle interazioni di attaccamento-cura dovrebbero essere integrati gradualmente nelle strutture di significato del bambino, con i processi di conoscenza semantica in via di sviluppo, dando luogo alle strutture di memoria che Bowlby ha denominato MOI. Il MOI dell’attaccamento D è molto probabilmente molteplice e incoerente (Liotti 1994/2005; Main ed Hesse, 1992). Questo significa che un fallimento delle funzioni integrative della memoria caratterizza l’attaccamento disorganizzato. I bambini disorganizzati sono incapaci di sintetizzare la loro esperienza complessiva di interazione con la figura di accudimento in una struttura di memoria coesa. Il loro ricordo delle interazioni passate con la figura di accudimento è composto di strutture di significato separate che non possono essere reciprocamente integrate. Un difetto simile nelle funzioni integrative di memoria caratterizza, per definizione, la dissociazione patologica.
A livello fenotipico dei processi cognitivi coinvolti, la situazione interpersonale corrispondente all’attaccamento disorganizzato ricorda da vicino la tecnica di confusione usata da Milton Erickson per indurre la trance ipnotica. In entrambe le situazioni interpersonali, uno stato alterato di coscienza (la dissociazione) compare in una situazione senza via d’uscita in cui non c’è possibilità di scelta tra i significati contraddittori implicati dalle transizioni interpersonali in corso (Liotti, 1992, 1999a). Nella tecnica ipnotica, i significati contraddittori sono deliberatamente creati dall’ipnoterapista, mentre nella relazione di attaccamento disorganizzato, sono creati dal bisogno innato del bambino di vicinanza protettiva, associato al comportamento della figura di attaccamento, spaventato/fonte-di-spavento e che induce alla fuga (Main ed Hesse, 1992).
Prove empiriche, sempre più numerose, sostengono l’ipotesi di una relazione tra l’attaccamento disorganizzato durante l’infanzia e la dissociazione patologica nella vita adulta.
Uno studio longitudinale prospettico condotto da Carlson ha seguito 129 bambini dalla nascita all’età di 17 anni e mezzo. I bambini classificati come disorganizzati alletà di 12 e 18 mesi manifestavano più spesso sintomi dissociativi nella scuola elementare e nelle scuole superiori, secondo ciò che riferivano le insegnanti sul Teacher Report Formo f the Child Behaviour Checklist e gli stessi adolescenti sulla Schedule of Affective Disorders and Schizofrenia for School Age Children. Lo studio evidenzia inoltre un’associazione significativa tra disorganizzazione dell’attaccamento nell’infanzia e punteggi alla DES all’età di 17 anni e mezzo (Lyons-Ruth e Jiacobvitz, 1999).
Una prova indiretta a favore dell’ipotesi di Liotti deriva dagli studi che esaminano la relazione tra i diturbi dissociativi negli adulti e le esperienze dei loro genitori di importanti perdite nel periodo vicino alla nascita dei pazienti. Liotti, Intreccialagli e Cecere hanno rilevato che se la reazione di un genitore alla perdita consente la previsione di disorganizzazione dell’attaccamento del bambino, quando la perdita si verifica nel periodo vicino alla nascita di un bambino dovrebbe aumentare la propensione personale a entrare in stati alterati di coscienza. Liotti et al. (1991) hanno chesto a 46 pazienti con diagnosi di disturbi dissociativi e a 119 pazienti con altre diagnosi psichiatriche se le loro madri avessero subito una perdita di un genitore, fratello, marito o di un altro bambino nei due anni precedenti o successivi alla loro nascita. Approssimativamente le madri del 62% dei pazienti con disturbi dissociativi e solo del 13% dei controlli avevano perso una persona importante nel periodo vicino alla loro nascita.
Una successiva ricerca, metodologicamente meglio controllata della prima osservazione pubblicata da Liotti e collaboratori, ha confermato che lutti e traumi della madre in epoca perinatale (e dunque l’attaccamento D nei primi anni di vita) costituiscono un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi dissociativi del figlio in età adulta (Pasquini, Liotti; The Italian Group for Study of Dissociation, 2002).
Hesse e van Ijzendororn riferiscono risultati analoghi in uno studio su due campioni a basso rischio. Resoconti di giovani adulti di perdite di un bambino o di un’altra persona amata nei due anni precedenti o successivi alle loro nascite erano correlati a livelli elevati di absorption in stati di realtà alterati valutati alla TAS.
Attaccamento disorganizzato e risposta ai traumi
Non tutti i bambini classificati come disorganizzati mostrano sintomi dissociativi successivamente nel corso della loro vita.
Liotti (1999a, 1994/2005) sottolinea come la relazione di attaccamento disorganizzata non predispone ai disturbi dissociativi su una base puramente intrapsichica. La relazione di attaccamento, infatti, non solo può rimanere disorganizzata per tutto il periodo dall’infanzia all’adolescenza, ma può facilitare la scelta di relazioni extrafamiliari con caratteristiche simili, e soprattutto può influire sul modo di cercare o fuggire il conforto nelle relazioni di fronte a traumi successivi. Un’esperienza traumatica che colga un bambino con attaccamento sicuro lo indurrà a chiedere efficacemente aiuto e conforto, mentre l’esperienza del trauma in un bambino con attaccamento D non solo produrrà risposte di ricerca di conforto assai meno appropriate ma, riattivando un MOI dissociato, faciliterà la dissociazione della coscienza. Lo sviluppo dei disturbi dissociativi va visto come un processo epigenetico, che probabilmente prende le mosse il più delle volte dalla disorganizzazione precoce dell’attaccamento, ma che in tutte le sue tappe successive riguarda tanto l’individuo quanto le sue relazioni. Questo processo è epigenetico nel senso che ogni tappa prepara la successiva, ma non la determina inesorabilmente (Liotti, 2001).
Tra i fattori di rischio che possono aggravare l’esperienza precoce di attaccamento disorganizzato che esita in psicopatologia dissociativa nella vita adulta, dovremmo tenere conto non solo di esperienze traumatiche (compreso i lutti), ma anche di variabili di temperamento, di possibili disfunzioni neurofisiologiche e di una comunicazione familiare gravemente distorta (Liotti, 1999a). E’ probabile che bugie, inganni e altre distorsioni sistematiche nella comunicazione familiare dell’informazione emotiva rilevante, riguardante la relazione dei bambini con le figure di attaccamento, esercitino un’influenza dissociante. Una simile distorsione è stata descritta molto bene da Bowlby come una delle più importanti fonti di dissociazione tra l’immagazzinamento della memoria semantica e di quella episodica ( Bowlby, 1980, 1988). Bugie, inganni e altre fonti di interazioni familiari gravemente disturbate costringono il bambino in crescita a escludere informazioni nuove e potenzialmente significative, già immagazzinate nel sistema di memoria implicita o episodica, dalla comunicazione e quindi dall’elaborazione semantica e dal pensiero cosciente.
Una convalida empirica è fornita da uno studio longitudinale condotto da Ogawa et al. che ha seguito 168 bambini dalla nascita all’età di 19 anni. Gli autori hanno posto a confronto i punteggi alla DES in tre gruppi: (1) giovani adulti classificati come disorganizzati durante la prima infanzia che non avevano subito traumi (2) giovani adulti classificati come disorganizzati durante la prima infanzia che avevano subito traumi (3) altri giovani adulti che non erano stati classificati precedentemente come disorganizzati. Questo gruppo non era diviso per storia dei traumi. E’ stata trovata una significativa elevazione nei punteggi della DES soltanto tra i giovani classificati disorganizzati che avevano subito un trauma, fornendo ulteriore supporto alla teoria di Liotti. E’ da notare che il 78% di coloro che erano stati classificati come disorganizzati durante la prima infanzia aveva sperimentato un trauma successivo. Questo tasso elevato suggerisce che il contesto di accudimento associato alla disorganizzazione pone il bambino a rischio di ulteriori traumi o perdite.