Indicazioni terapeutiche
Data la complessità del disturbo, tale da modificare molte aree della vita della persona, è utile usare un approccio che implichi più modalità di intervento che interagiscono tra loro.
Indispensabile è formare tutti gli operatori coinvolti nel processo terapeutico, facendogli acquisire nozioni indispensabili a conoscere la malattia e le terapie che ad essa si applicano.
La cosa fondamentale da dire e ricordare al paziente è che la malattia si può solo sospendere: questo significa che il giocatore deve rimanere in astinenza. Diversamente, il rischio di ricadute è sempre in agguato (Guerreschi, 1998).
Psicoterapia individuale
Il giocatore che chiede aiuto è giunto ad un punto tale che si trova di fronte ad una situazione ingestibile, soprattutto dal punto di vista finanziario. Di solito sono i familiari che prendono i primi contatti con i professionisti. La prima questione da porsi è stabilire se il problema del gioco patologico sussiste oppure no e quale sia la gravità della situazione, attraverso colloqui e strumenti diagnositici specifici.
Bisognerà, inoltre, indagare la presenza di eventuali patologie in comorbilità, che renderebbero necessari trattamenti specifici prima di prendere in carico il paziente per il problema del gioco d’azzardo. Spesso, tuttavia, le persone cercano aiuto per le malattie comorbili e poi manifestano di essere gamblers, poiché non considerano tale disturbo molto invalidante.
In seguito, anche se il giocatore è deciso a entrare in trattamento, bisogna stabilire un contratto con esso, che raccolga l’adesione alla cura e indaghi le aspettative cha ha il paziente rispetto al trattamento e al cambiamento che il percorso comporterà.
È necessario indagare anche l’area affettiva e relazionale, perché il giocatore chiede una consultazione quando le sue relazioni hanno già subito gravi danni. Ciò lo porta a provare sentimenti d’impotenza, colpa, angoscia che potrebbero minare la possibilità di ottenere benefici dal trattamento.
Uno dei primi problema da affrontare è una distorta percezione della realtà che porta il giocatore a ritenere che il problema da risolvere sia rappresentato dai debiti e non dal gioco. Il terapeuta deve aiutare il paziente a spostare il problema dalla crisi economica al comportamento. Bisogna fargli assumere un certo distacco rispetto al problema del gioco per fargli capire il carattere distruttivo che esso ha. Per far ciò si può usare uno strumento proposto da Ladouceur (2003), che consiste nel rappresentare, annerendo l’interno di un cerchio vuoto, il posto che il gioco occupa nella vita del paziente. La maggior parte colora più della metà del cerchio. La persona, parlando delle cose a cui ha dovuto rinunciare si rende conto di quanto le sue relazioni e le sue passioni siano state accantonate o sostituite dal gioco. Successivamente è necessario far emergere in lui la volontà di riprogettare un futuro senza gioco.
Di grande utilità è la compilazione da parte del giocatore di una scheda d’auto-osservazione, che andrà fatta per tutta la durata della terapia (Ladouceur, 2003). Tale scheda misura, su una scala da 0 a 100, il livello di autocontrollo in rapporto al problema di gioco e alla tolleranza personale, il desiderio di giocare, la frequenza di gioco, l’ammontare del denaro perso (senza contare le vincite). Poiché i gamblers tendono a minimizzare il loro problema e la quantità di soldi persi al gioco, la scheda rende consapevole il soggetto del suo problema, dell’intensità del desiderio di giocare e della rilevanza delle somme di denaro perse. Inoltre, gli permette di rendersi conto dei progressi fatti durante la terapia, quantificando e oggettivando i cambiamenti che avvengono. In questa maniera le persone trovano elementi che li motivano a proseguire il percorso terapeutico.
La valutazione dell’aspetto cognitivo è molto importante, poiché guida i comportamenti dei giocatori. Sembra, infatti, che i pensieri erronei rispetto al gioco (superstizioni, illusioni di controllo, speranza di rifarsi) siano fattori critici per una buona o cattiva terapia (Ladouceur, 2003). Si deve usare la ristrutturazione per modificare i percorsi cognitivi dei giocatori. Non appena le persone capiscono quali sono gli errori di pensiero che compiono e quali conseguenze hanno nel processo usato per prendere decisioni, gli è più facile metterli in discussione. Riconoscere la relazione tra i pensieri e la decisione di giocare o non giocare, permette al soggetto di considerare la rinuncia al gioco come una scelta ragionevole e non come una privazione.
Il terapeuta deve far esprimere al giocatore i pensieri legati alla convinzione di vincere o di prevedere il risultato (elementi indispensabili da eliminare per ottenere risultati positivi a lungo termine) (Ladouceur, 2003). Evidenziando le principali distorsioni cognitive, il giocatore dovrà metterle in dubbio e identificare nuovi pensieri, per lui significativi, che lo aiutino a recuperare il controllo e a dominare il desiderio di giocare.
Attraverso la psicoterapia individuale e l’apprendimento di strategie di coping, alla base delle quali c’è il pensare prima dell’agire, il paziente prenderà anche coscienza dei propri limiti e delle sue reali possibilità, dei propri bisogni e desideri che gli consentiranno di fissare obiettivi raggiungibili. Si aiuterà inoltre la persona a riscoprire interessi che aveva in precedenza o a trovarne di nuovi che sostituiscano il gioco.
Psicoterapia della famiglia
La terapia familiare porta la famiglia a imparare ad accettare che il gioco d’azzardo è un sintomo. La famiglia si rende inoltre consapevole che anche le relazioni familiari possono essere o possono essere state malate, contribuendo alla nascita e allo sviluppo della patologia in un suo componente.
Il gioco aggredisce un sistema, la famiglia, attraverso il comportamento del giocatore che mira al proprio interesse. Ciò rompe un equilibrio e comporta lo sviluppo di una situazione instabile,arginata dal tentativo di creare un nuovo equilibrio, patologico. I comportamenti dei familiari cambiano. Il giocatore viene etichettato come colui che “ha il problema”, colui che bisogna controllare, al quale dare poche responsabilità. La terapia deve agire sulla famiglia cercando di modificare quei comportamenti patologici quasi automatici, che tutti i membri della famiglia hanno in funzione della ricerca di nuovi atteggiamenti.
Il primo passo consiste nel conoscere il gioco d’azzardo e imparare ad accettarlo come una malattia, per togliere al giocatore l’etichetta di deviante. Inoltre, i membri della famiglia devono essere disposti sia a ridare fiducia a una persona che per molto tempo ha mentito, sia i ruoli che gli competono (per esempio marito, padre, figlio, fratello). Per ottenere ciò bisogna puntare sullo sviluppo di una nuova comunicazione, che elimini quella preesistente e sulla modificazione delle relazioni, entrambe patologiche.
Programma di psico-educazione
Il programma di psico-educazione è stato elaborato perché sono pochi i giocatori patologici che si impegnano nella terapia, così come i loro familiari (Capitanucci-Carlevaro, 2004).
Generalmente, chi prosegue le sedute è perchè ha anche problemi familiari, con l’alcol, o è in fase depressiva.
Tale programma offre la possibilità di informare sul gioco d’azzardo patologico in breve tempo: sulla sua origine, sulle situazioni che lo mantengono e sulla sua terapia. Ha anche funzione preventiva, poiché conoscere le circostanze rende attenti, perché aumenta la possibilità di discriminare. Può essere usato dai familiari, anche senza il giocatore stesso. Consiste di poche sedute con un terapeuta e in esercizi da fare a casa. Le domande della psico-educazione sono “a cascata”, guidano il paziente verso la risposta attesa che, comunque, deve raggiungere lui.
All’inizio del programma si indaga la richiesta portata dal giocatore, la sua motivazione a chiedere aiuto, la storia del gioco, la sua intensità e le sue conseguenze.
In seguito si danno informazioni sul caso, l’azzardo, i giochi d’azzardo. Si indagano le ragioni per le quali le persone giocano, il ruolo del denaro e cosa fa diventare il gambling una patologia. Si indicano le prime misure da prendere: astinenza dal gioco, controllo finanziario, lista dei debiti (che vanno sempre pagati). Si informa il paziente su come gestire il desiderio di andare a giocare e cosa fare se la persona mette in atto il comportamento patologico.
Infine si stimola il giocatore a mettere in atto comportamenti che diano ricompense e rinforzi positivi, per recuperare l’esperienza della gratificazione nella quotidianità (ristabilire relazioni positive con i familiari, ritrovare amicizie perdute e interessi piacevoli, persi a causa del gioco). Inoltre si dovrebbero spiegare le possibilità di cura esistenti, le eventuali ricadute e il modo in cui affrontarle.
Il tutor
La figura del tutor nasce per definire un piano di risanamento dei debiti, per mezzo del quale il giocatore allevierà lo stress dovuto alle pressioni economiche (Guerreschi, 1998). Il tutor pone i debiti su una scala di gravità, collocando al primo posto quelli che possono comportare conseguenze di tipo giuridico, fino ad arrivare a quelle che coinvolgono i familiari. Il paziente così recupera un rapporto sano con i soldi, che durante la malattia hanno perso il loro valore e sono stati sperperati senza regole.
I compiti del tutor sono (Capitanucci-Carlevaro,2004):
§ definire la situazione finanziaria del giocatore;
§ individuare un referente tra i familiari che amministri il denaro del giocatore e gli consegni solo il necessario. Per evitare che il paziente si senta umiliato e frustrato da questa situazione, il familiare che gestisce i soldi deve dare un po’ di fiducia al proprio congiunto, evitando di assumere un atteggiamento esclusivamente autoritario o chiedendo informazioni sull’uso del denaro o negandolo;
§ raccogliere gli scontrini e le ricevute delle spese effettuate dal giocatore, per valutare il senso di responsabilità rispetto al denaro che gli viene affidato;
§ fungere da punto di riferimento se il paziente è indeciso su come effettuare delle spese o per qualsiasi difficoltà;
§ cercare che il giocatore maneggi pochi soldi, utili per spese già definite o necessarie;
§ restituire al giocatore la responsabilità delle sue azioni.
Il tutor deve creare un’alleanza col giocatore sia per motivi pratici (risolvere i problemi economici), sia perché parlare del denaro e dell’uso che se ne fa con un estraneo potrebbe essere visto come un controllo invadente e fastidioso.
Inoltre tale figura aiuta il giocatore nella gestione delle ricadute. Il paziente deve capire che tali incidenti di percorso possono capitare e che deve parlarne con la famiglia, evitando bugie che impediscono il recupero di un rapporto basato sulla fiducia e la comprensione.
Il tutor deve anche creare un rapporto d’alleanza col familiare referente e sostenerlo quando questi si dimostri stanco e demotivato per il ruolo assunto.
Il percorso di tutorship, così come il lavoro svolto dagli altri agenti del percorso terapeutico, deve essere condiviso dagli operatori, in modo ma permettere che la riabilitazione sia sinergica.
Gruppi di auto aiuto
Sono gestiti da operatori opportunamente formati. Il loro programma ha come scopo l’arresto della patologia, non la rimozione delle cause, compito dello psicoterapeuta.
Il giocatore riesce a osservare come sia possibile realizzare gli obiettivi previsti dal programma di recupero. Inoltre, confrontando la sua situazione personale con quella degli altri membri e individuando delle analogie, allevia il senso di solitudine che aveva prima di entrare in trattamento e gli fa sentire di non essere” il solo”.
Esistono anche gruppi per familiari. In questi gruppi i familiari ricevono sostegno attraverso la condivisione dei propri vissuti. Gli operatori, inoltre, forniscono informazioni sulla malattia e aiutano i famigliari a restare vicino ai propri cari prima e dopo la cura. Vengono inoltre preparati ad affrontare le emergenze che si troveranno a dovere fronteggiare a causa della malattia del loro congiunto.
Altre figure di aiuto utili in fase di trattamento
Consulenza legale. Il compito dell’avvocato non riguarda solo le conseguenze legali e civili legate ai reati commessi per finanziare il gioco o per ripagare i debiti, ma anche la tutela del patrimonio del giocatore e della sua famiglia. Fornisce assistenza ai familiari per quanto riguarda il modo per proteggersi dalle conseguenze del comportamento del giocatore. Frequentemente il legale si occupa di situazioni che riguardano il regime patrimoniale tra i coniugi e di separazioni, anche solo proforma, per salvaguardare i membri della famiglia. Tale figura è utile anche quando c’è una grave situazione debitoria che coinvolge istituti di credito, finanziarie. Questa persona contatta i creditori per pianificare il saldo dei debiti, compatibilmente con la situazione economica del giocatore, al fine di evitargli condanne penali. Questo intervento si attua se il giocatore prosegue il trattamento, non è deresponsabilizzante, ma rinvia a un momento più adeguato il fronteggiamento, da parte del paziente, degli obblighi assunti durante il gioco eccessivo.
Consulente finanziario. Propone iniziative volte a risanare la situazione finanziaria del paziente.
Psichiatra. Tale figura è utile data la probabilità che possa esserci comorbilità del gioco patologico con altre patologie psichiatriche.
Da quello che è emerso appare chiaro che solo la sinergia di più figure può aiutare i giocatori d’azzardo patologici. Ideale sarebbe il loro inserimento in comunità terapeutiche. La struttura comunitaria permette una maggiore percentuale di successo nel trattamento. Essa deve prefiggersi dei traguardi terapeutici: astinenza, riabilitazione fisica e psichica, integrazione sociale e condotta di vita autonoma (Guerreschi, 1998).