Aspetti psicobiologici e neurofisiologici del DPTS
Le esperienze traumatiche hanno effetti neurofisiologici che si intrecciano al significato psicologico che l’individuo attribuisce all’esperienza e alle credenze circa se stesso e il mondo (Adshead 2000). Il disturbo post-traumatico da stress, infatti, è in genere considerato un disturbo psicologico: in risposta a uno stress estremo, una persona manifesta un nucleo di rivissuti, evitamento e sintomi di iper-arousal, che l’individuo esperisce soggettivamente come d’origine psicologica o emotiva. In anni recenti, però, gli psichiatri hanno sempre più riconosciuto che il DPTS dovrebbe essere considerato anche secondo una prospettiva biologica. Una serie di studi di brain imaging, elettrofisiologici, psicofisiologici su ormoni, neurotrasmettitori e legami recettoriali, hanno cominciato a caratterizzare la natura biologica del disturbo. Questi studi supportano la convinzione che un grave trauma psichico possa provocare anomalie della risposta neurobiologica del paziente allo stress, anche dopo anni dall’evento originale, e che queste anomalie di vecchia data possano essere responsabili dei diversi disturbi e sintomi di cui comunemente si lamentano i pazienti affetti da DPTS (Southwick et al. 2001).
Assumendo una prospettiva psicobiologica, il DPTS è una reazione psicofisica normale a un evento stressante di natura estrema. In condizioni di stress, l’organismo si attiva per fronteggiare la situazione che minaccia il benessere psicofisico, le strategie di coping e l’adattamento all’ambiente (Carlson 2005). Nella risposta di un organismo alle situazioni stressanti o pericolose riveste un ruolo importante il sistema nervoso simpatico (SNS). Anche se gruppi funzionali di fibre simpatiche si possono attivare autonomamente, in condizioni di stress estremo il sistema tende a comportarsi come un’unità che mobilita e utilizza l’energia al massimo livello. La scarica simpatica coordinata aumenta la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, con conseguente maggiore perfusione dei muscoli e degli organi vitali; le pupille si dilatano, cosicché nell’occhio possa entrare più luce; i vasi cutanei si contraggono per limitare la perdita di sangue in caso di ferite; il sangue è smistato dai distretti corporei momentaneamente non necessari ai gruppi muscolari attivi; vi è un rapido aumento di fornitura di energia alla muscolatura scheletrica grazie alla mobilitazione di glucosio nel sangue e alla facilitazione dell’ossidazione di vari prodotti alimentari. La forte scarica del SNS stimolato da una condizione d’emergenza prepara l’organismo a quello che Cannon (1914) definì risposta di “attacco o fuga” (flight-or-fight). Dunque, l’individuo, che percepisce o è colpito da un trauma, entra in allarme; istintivamente (senza apprendimento) è attivata la risposta biologica agli input stressogeni; si attiva il sistema nervoso affinché sia emessa la risposta di attacco o fuga, caratterizzata da un’intensa attivazione fisiologica e affettiva, solitamente vissuta come paura o rabbia. Il corpo risponde così in modo automatico controllando il sistema circolatorio, ormonale e muscolare perché siano pronti ad affrontare il trauma. In alcuni animali che si trovano nell’imminenza di un pericolo è stata osservata anche una reazione di congelamento, che potrebbe essere un modo per aumentare le possibilità di sopravvivenza in situazioni in cui non è possibile fuggire o combattere. A differenza della risposta di fight-or-flight, accompagnata da un elevato livello di attivazione, la risposta di congelamento sarebbe caratterizzata da una risposta fisiologica parasimpatica e da un appiattimento affettivo (Southwick et al. 2001; Ardino 2006; Carlson 2005).
L’esperienza di un evento traumatico determina alterazioni anche di altri sistemi neurobiologici. Relativamente al sistema degli oppiati, lo stress violento provoca un aumento del rilascio degli oppioidi endogeni e un conseguente aumento dell’analgesia. Soprattutto dopo aver subito ferite, questo incremento dell’analgesia sembra rivestire un ruolo adattativo che consente all’organismo di spostare l’attenzione sui comportamenti necessari alla sopravvivenza (Southwick et al. 2001).
Diversi studi concordano nel sostenere un ruolo della disregolazione serotoninergica nel DPTS. Il fatto che sintomi specifici del DPTS includano l’aggressività, l’impulsività, la depressione e il rischio di suicidio (nella cui regolazione riveste un ruolo importante questo ormone) suggerisce che le alterazioni della regolazione della serotonina possono essere coinvolte nella formazione dei sintomi di questo disturbo. Alcuni studi hanno infatti riscontrato un’aumentata sensibilità dei recettori serotoninergici nei pazienti con DPTS. Il coinvolgimento della serotonina è ulteriormente supportato dall’evidenza della parziale efficacia degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) nel trattamento dei sintomi specifici del DPTS (Southwick et al. 2001; Connor e Butterfield 2003).
La dopamina è implicata nel controllo di locomozione, cognizione e affetto. I dati clinici che sostengono un suo ruolo nella risposta allo stress e nel DPTS includono gli alti livelli di sintomi psicotici osservati tra gli individui con questo disturbo e le elevate concentrazioni di dopamina urinaria nei bambini in seguito ad anni di gravi maltrattamenti (Connor e Butterfield 2003).
L’attività catecolaminergica aumenta durante lo stress e i risultati delle ricerche suggeriscono che la sua disfunzione, soprattutto della norepinefrina, può giocare un ruolo nello sviluppo dei sintomi specifici del DPTS. Nell’esposizione allo stress, la norepinefrina viene rapidamente rilasciata dal locus coeruleus, portando ad aumenti del battito cardiaco e della pressione sanguigna e a sintomi di iper-arousal. E’ anche probabile una relazione tra un’aumentata attività della norepinefrina e un’intensificata memoria a lungo termine dell’evento traumatico e i sintomi di re-experiencing del DPTS (Connor e Butterfield 2003).
Lo stress determina anche un’aumentata attività del sistema noradrenergico, e questo può contribuire ai sintomi di iper-arousal e re-experiencing del DPTS. Al momento del trauma si verifica una maggiore reattività del sistema noradrenergico, con conseguente maggior rilascio di noradrenalina e questo crea una condizione di ipersensibilità o di iperamnesia verso le informazioni collegate al trauma. Lo stato emozionale ha una forte influenza nell’imprimere i ricordi e un’associazione stimolo-risposta appresa in uno stato emotivo intenso non viene dimenticata. E’ stato evidenziato che la noradrenalina ha una relazione a forma di U invertita con il consolidamento della memoria: livelli sia molto alti sia molto bassi di attività noradrenergica del SNC interferiscono con il meccanismo dell’immagazzinamento dell’informazione (Gidaro e Oleari 2003).
Le persone affette da DPTS possono presentare alterazioni nelle regioni cerebrali centrali nella risposta neurobiologica di paura, in modo specifico l’amigdala e l’ippocampo. Queste strutture fanno parte del sistema limbico, l’area cerebrale implicata nella regolazione delle emozioni e della memoria. L’amigdala svolge un ruolo nella valutazione del pericolo, nelle emozioni e nel condizionamento alla paura; l’ippocampo è implicato nell’apprendimento e nella memoria (Connor e Butterfield 2003).
Ardino (2006) riporta che gli effetti dello stress sull’amigdala e sull’ippocampo sono diversi. Il rilascio di adrenalina e cortisolo inizialmente stimola la memoria dichiarativa; il SNS e gli ormoni rilasciati fanno sì che gli eventi con forte carica emotiva siano trattenuti nella memoria. Tuttavia, uno stress prolungato e intenso associato ad elevati livelli di cortisolo, tende ad influire negativamente sul funzionamento dell’ippocampo, danneggiando a sua volta la memoria dichiarativa. Viceversa, il funzionamento dell’amigdala è sempre più stimolato all’aumentare dei livelli di stress. “I due diversi sistemi anatomici della memoria e gli effetti dello stress su questi forniscono una base neurale per i ricordi accessibili a livello verbale o di immagini e per i sintomi del DPTS. I ricordi accessibili a livello verbale, che sono flessibili e soggetti alla modificazione, ma spesso vaghi, disorganizzati e ricchi di incoerenze, probabilmente sono legati all’attivazione dell’ippocampo. Al contrario, i ricordi accessibili tramite immagini, che sono di natura percettiva o sensoriale, vengono elicitati automaticamente e vissuti come se succedessero nel momento della loro rievocazione. Ciò suggerisce che le forme di ricordo indipendenti dall’ippocampo si organizzano in forme di memoria che non possono essere codificate in un rapporto passato versus presente in cui la mancanza di un contesto temporale” ha come conseguenze il fatto che “quando i ricordi sono rievocati vengono rivissuti nel presente”, e che “la rappresentazione dell’attuale minaccia comporta distorsioni mnestiche e attentive”.
Come riferito ancora da Ardino (2006), “le neuroscienze cognitive hanno evidenziato l’importanza dell’amigdala nell’attivazione delle risposte di paura e i diversi percorsi neurali che portano le informazioni sul trauma a questa area del cervello”. Nel caso in cui l’informazione arrivi all’amigdala attraverso l’attivazione dell’ippocampo, l’elaborazione dell’esperienza è “il risultato di un set coerente di rappresentazioni che arrivano alla consapevolezza dell’episodio, disponibile per una libera rievocazione”. Nei casi in cui, invece, l’informazione arriva all’amigdala attraverso l’attivazione di altre aree, il ricordo non è disponibile a una libera rievocazione o rintracciabile in un ampio spazio temporale; è però “accessibile immediatamente se ci sono stimoli provenienti dal mondo esterno assimilabili a quelli presenti durante l’esperienza traumatica”.
L’ipotesi che l’amigdala rivesta un ruolo centrale nell’eziologia e nella fisiopatologia del DPTS è sostenuta da una serie di studi e osservazioni, in cui è stato rilevato che la stimolazione elettrica delle strutture amigdaloidee provoca risposte comportamentali tipiche del DPTS, come apprensione, comportamento impulsivo, sentimenti di terrore e paura, déjà-vu e accentuazione della reazione di trasalimento (Shalev 2001).