La disfluenza verbale: classificazione diagnostica
La disfluenza verbale o balbuzie ha come aspetto verbale necessario la ripetizione e il prolungamento di fonemi o di sillabe, pause tese, visibili o udibili nel corso dell’espressione che causano disagio a chi le produce, in conseguenza di una dinamica d’interazione.
Il disturbo si manifesta con movimenti irregolari, che interessano i muscoli della respirazione, dell’articolazione e della fonazione in generale, che compaiono all’inizio e durante l’eloquio, così da rendere alquanto penoso il normale fluire del linguaggio. Il balbuziente, tuttavia, quando è solo parla fluentemente.
Così è definita dal DSM-IV:
1. Anomalia del normale fluire e della cadenza dell’eloquio (inadeguati per l’età del soggetto) caratterizzata dal frequente manifestarsi di uno o più dei seguenti elementi: ripetizioni di suoni o sillabe; prolungamento di suoni; interiezioni; interruzioni di parole (cioè pause all’interno di una parola); blocchi udibili o silenti (cioè pause del discorso colmate o non colmate); circonlocuzioni (sostituzioni di parole per evitare parole problematiche); parole emesse con eccessiva tensione fisica; ripetizione di intere parole monosillabiche (per esempio «Ho – o – o – o – o fame»).
2. L’anomalia interferisce con i risultati scolastici o lavorativi, o con la comunicazione sociale.
3. Se è presente un deficit motorio della parola o un deficit sensoriale, le difficoltà nell’eloquio vanno al di là di quelle di solito associate con questi problemi.
La balbuzie può essere accompagnata da sincinesie, ossia movimenti involontari di alcune parti del corpo, tic facciali o del collo, embolofrasie, ossia interiezioni ripetute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la balbuzie come disturbo specifico dello sviluppo, «un disordine del ritmo della parola nel quale il paziente sa con precisione quello che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo».
I dati statistici rilevano un’incidenza molto alta tra le disfluenze tipiche; secondo studi italiani ed europei circa l’1-1,3% della popolazione italiana adulta ne è affetta e circa 1’85% dei casi presenta i primi sintomi in età prescolare.
È stata inoltre ipotizzata una possibile ereditarietà, confermata da storie familiari di balbuzie in circa un terzo dei casi. Si tratta, secondo i molti studi, di ereditarietà non tanto della balbuzie in sé quanto di una sensibilità accentuata del bambino verso alcuni fattori psicologici e relazionali quali ansia dei genitori.
I numerosi studi sulla balbuzie indicano una prevalenza nel sesso maschile statisticamente significativa, che in Italia si manifesta con un rapporto con il sesso femminile 1:3, 1:4.
A livello di personalità, il balbuziente mostra maggiori difficoltà nella relazione e negli adattamenti sociali.
Molti autori indicano 4 fasi nell’ episodio di balbuzie:
1. la fase di prebalbuzie, in cui il soggetto cerca di dominare l’angoscia perché anticipa cognitivamente ed emotivamente l’evento temuto. Il suo dialogo interrno può essere questo: «Adesso calmati, parla correttamente!»;
2. la fase della balbuzie, in cui il soggetto balbetta effettivamente. In questa fase si assiste a una drastica caduta della tensione;
3. la fase della risoluzione, in cui il soggetto è riuscito finalmente a parlare e quindi si è calmato;
4. la fase postbalbuzie, in cui il balbuziente giudica se stesso. Il suo dialogo interno potrebbe essere il seguente: «Hai fatto una figuraccia! Che vergogna non parlerò mai bene!». Questa parte giudicante punisce e nello stesso tempo rinforza i meccanismi mentali che si ripresenteranno nelle situazioni ritenute pericolose. Il funzionamento mentale del soggetto è tutto proteso a controllare la balbuzie e, poiché la balbuzie è già un controllo, paradossalmente il paziente cerca di controllare un controllo. I meccanismi di mantenimento infatti si manifestano nelle fasi di pre e postbalbuzie intrappolando il soggetto.