COPE
Il Cope è uno strumento multidimensionale per la misurazione delle modalità di coping ovvero modalità di di fronteggiamento mediante le quali gli individui rispondono a situazioni stressanti. Si compone di 60 item raggruppabili in 15 differenti sottoscale, che costituiscono ciascuna una specifica modalità di coping. Il Cope prevede la valutazione self-report, i soggetti devono indicare con quale frequenza attuano quel particolare processo di coping. Le possibili risposte si collocano su una scala a 4 punti. Per semplificazione sono stati utilizzati dei raggruppamenti in 5 fattori indicati per la nuova versione italiana (Sica, 2008): Sostegno sociale, Strategie di evitamento, Attitudine positiva, Orientamento al problema, Orientamento trascendente. Trattandosi di modalità abbastanza stabili del comportamento, non si ipotizza un cambiamento nell’utilizzo, ma la possibilità di utilizzarle in maniera meno rigida.
Per quanto riguarda le strategie che fanno riferimento al Sostegno sociale si rileva una riduzione nel gruppo E; le Strategie di evitamento si riducono solo in T1 nel gruppo S, l’Attitudine positiva aumenta nel gruppo S e si riduce in E (per poi aumentare in T2), l’Orientamento al problema aumenta nel gruppo S in T1 e poi in T2 tendenzialmente in tutti i gruppi. Non sono possibili indicazioni in quanto i dati non sono significativi. Per quanto riguarda il gruppo E si rileva un aumento della sottoscala Reinterpretazione positiva e crescita (elaborare l’esperienza critica in termini positivi o di crescita umana) del fattore Atteggiamento positivo; nel gruppo S si ha una riduzione del Disimpegno mentale (distrarsi, sognare a occhi aperti, dormire più a lungo) del fattore Strategie di evitamento e un coerente aumento di Soppressione di attività interferenti (mettere da parte ogni altra attività per dedicarsi più efficacemente al problema) del fattore Orientamento al problema per il gruppo S.
|
GRUPPO C |
GRUPPO S |
GRUPPO E |
||||||
|
TO (10) |
T1 (10) |
T2 (8) |
T0 (8) |
T1 (6) |
T2 (6) |
TO (7) |
T1 (6) |
T2 (5) |
OR. PROBLEMA |
29,8 |
30,4 |
33,5 |
33,5 |
35,0 |
38,8 |
34,8 |
34,0 |
40,2 |
SOSTEGNO SOC. |
29,8 |
30,2 |
31,6 |
29,7 |
28,8 |
30,1 |
35,7 |
32,1 |
32,8 |
EVITAMENTO |
29,7 |
30,4 |
28,8 |
31,5 |
27,5 |
31,0 |
32,4 |
31,6 |
31,4 |
ATT. POSITIVA |
30,6 |
31,8 |
30,1 |
32,3 |
33,3 |
38,5 |
37,5 |
33,6 |
40,0 |
Tabella IX. Medie di 4 fattori del COPE
Secondo gli studi di Sica et al. (2008) l’Attitudine positiva e l’Orientamento al problema sono strategie che sembrano proteggere dal disagio psicologico, al contrario di quelle di evitamento. Sembra inoltre che quando utilizzate nel processo di coping, il Sostegno sociale e l’Orientamento alla trascendenza non favoriscano da sole una condizione di benessere, forse perché favoriscono una certa passività.
Limiti e conclusioni
Come già esplicitato è necessario che i dati ottenuti siano ampliati su un campione adeguato di soggetti. Altri limiti consistono in valutazioni fatte unicamente con self-report, la mancanza di analisi di correlazione fra le scale per l’esiguità del campione e la non omogeneità dei gruppi.
Sarebbe interessante valutare nel tempo la sottoscala “anticipated discrimination” della DISC e utilizzare scale che misurino in modo specifico il self-stigma. Alcune di esse sono state validamente utilizzate in diversi studi. Una valutazione più accurata del grado di condivisione delle credenze circa il disturbo di cui soffrono e del livello di funzionamento sociale costituirebbe la base per una eventuale indicazione per l’intervento proposto.
Uno studio di Lysaker et al. (2008) ha analizzato il paradosso dell’insight ed ha individuato come lo stigma interiorizzato moderi l’associazione fra insight, funzionamento sociale, speranza e autostima nelle persone con diagnosi di schizofrenia. I risultati di questo studio evidenziano che:
– le persone con alto insight che condividono le credenze auto-stigmatizzanti hanno un basso livello di autostima e scarse relazioni interpersonali rispetto a quelle con alto insight che rifiutano lo stigma ossia non lo condividono;
– le persone con bassa consapevolezza che condividono lo stigma (anche se in misura minore rispetto al gruppo ad alto insight-moderato stigma) hanno maggiore autostima e speranza, ma non differiscono nel funzionamento sociale. Quindi sia l’accettazione dello stigma sia la mancanza di consapevolezza di malattia possono condurre all’isolamento sociale. Anche se non si può escludere che possa essere presente una componente neuro-cognitiva;
– il gruppo ad alto insight e stigma minimo ha significativamente meno difficoltà nel funzionamento sociale.
Alla luce di questi dati ritengo che il punto di forza di questo intervento sia di favorire un maggiore insight per una migliore aderenza alla terapia e allo stesso tempo di cercare di ridurre il self-stigma ossia la condivisione di certi stereotipi circa la malattia mentale per favorire il miglior funzionamento sociale. L’esperienza clinica sembra mostrare che nel gruppo Stigma le informazioni circa la malattia mentale si mantengano più a lungo rispetto al gruppo Educativo e che le opinioni circa le possibilità di miglioramento e il rapporto con gli altri si dirigano verso una maggiore aspettativa positiva. È probabile che la maggiore esemplificazione nelle simulate di situazioni possibili in vari ambiti abbia reso più articolate le aspettative, considerando esiti non necessariamente sempre negativi e una maggiore possibilità di gestione delle situazioni.
In conclusione, confido di avere presentato un progetto che ha rilevato un certo apprezzamento a livello clinico da parte dei pazienti, come illustrato in seguito, anche se gli strumenti di misura non specifici e l’esiguità dei soggetti non permettono di formulare ipotesi di efficacia.