di Gilda Franceschini
E’ tra gli scompartimenti di un treno che prende vita la conturbante confessione che riempie le pagine di questo romanzo breve di Tolstoj. Ne è protagonista Pozdysev, un uomo schivo, che si muove con fare agitato, intento a evitare i contatti con gli altri viaggiatori, fino a quando ne individua e sceglie uno, a cui chiede, quasi retoricamente, di ascoltare la sua storia.
Pozdnysev rintraccia così il suo interlocutore in uno sconosciuto passeggero, durante un viaggio in treno, che si configura come un percorso, o almeno un tentativo, di redenzione.
Siamo di fronte ad un uxoricida, il protagonista ha ucciso la moglie e decide, nel suo racconto, di esplicitarne le ragioni. Emerge, infatti, che Pozdysev è un uomo tormentato, in prima istanza dal tradimento, o meglio, dalla presunta infedeltà della donna, dato che l’atto del tradire non verrà mai colto in flagrante, non sapremo mai se si sia verificato o meno, ma questo sembra contare poco anche per il protagonista stesso, che non tenta neppure di verificarne la veridicità, ma è tutto teso ad un atto di rivalsa più che ad una vendetta.
E’ proprio in un’esplorazione del corso dei pensieri di quest’uomo, in un focus sulle peculiarità del suo ragionare, più che sui fatti in sé, che è possibile cogliere una serie di meccanismi psicologici caratterizzanti una gelosia indubbiamente patologica.
E’ lampante come, nel pieno dell’attivazione emotiva, si delinei nella mente del protagonista la compromissione di alcune capacità metacognitive: vi si rintraccia innanzitutto uno scarso decentramento, per cui ogni dettaglio dell’atteggiamento altrui è interpretato in relazione alla propria visione, in questo caso alla luce della gelosia di Pozdysev , come se gli altri non avessero scopi propri, ma quelli che il soggetto in quel momento attribuisce loro, senza possibilità di intravedere alternative. Se ne evince un esempio in questo passaggio, in cui il protagonista inizia a leggere, con imperturbabile convinzione, delle emozioni e delle intenzioni dietro i primi contatti tra la moglie e il musicista, presunto amante di lei: “Lui, guardando mia moglie come i fornicatori guardano una bella donna, faceva finta, fingeva che lo interessasse solo l’oggetto del discorso, cosa che ormai invece non lo interessava più. Lei cercava di apparire indifferente, ma lo sguardo libidinoso di lui chiaramente la eccitava. Vidi che fin dal primissimo incontro gli occhi le brillavano e molto probabilmente, a causa della mia gelosia, tra lui e lei si instaurò una sorta di corrente elettrica che provocava una sintonia di sguardi e sorrisi”.
Limitata è anche l’abilità di differenziazione, per cui vi è difficoltà nel riconoscere la natura rappresentazionale del pensiero, dunque ciò che si pensa e si teme finisce con il coincidere con la realtà, come risulta in queste considerazioni in cui il timore di tradimento è divenuto, per il protagonista, tradimento concreto, reale e realizzatosi: “mi vedo davanti tutto quello che accade in mia assenza, come lei mi tradisce” , “Come può disporre della sua carne a piacimento, e disporne diversamente da come voglio io?….Come se non bastasse, quanto più osservavo queste immagini della fantasia, tanto più credevo fossero reali. La chiarezza con cui questi quadri mi si presentavano era come se costituisse una dimostrazione del fatto che stavo figurandomi la realta’”.
Tra le altre distorsioni cognitive che contribuiscono ad alimentare stati ansiosi e comportamenti coercitivi nella persona gelosa ritroviamo nel ragionamento di Pozdysev anche la “Lettura del pensiero”, che implica la convinzione di essere in grado di conoscere letteralmente i contenuti della mente dell’altro: “leggevo nell’anima di lui come in un libro stampato”.
Inoltre, ciò che spesso si rintraccia nella gelosia smisurata e che si fa veicolo di interpretazioni distorte è quel meccanismo, tipico anche dei disturbi ansiosi, di sovrastima della minaccia con focalizzazione attentiva sul pericolo temuto. Il protagonista, in questo caso, mosso dall’intento di evitare di sottovalutare ciò che teme, che si configurerebbe nella scoperta dell’adulterio, coglie riferimenti ad esso anche in dettagli minimi, oggettivamente neutri, agli occhi altrui trascurabili, piuttosto che doversi poi rimproverare di essere stato superficiale in tale analisi e di essersi reso vittima del tradimento consumato alle sue spalle. Egli, ormai inesorabilmente convinto non solo che la moglie si stia allontanando dal loro legame coniugale e sentimentale, ma che gli stia anche celando la nascita di una nuova relazione con il violinista, sembra concentrare tutta la sua attenzione sulle sfumature del comportamento di quest’ultima, vissute come segno incontrovertibile di una nascente passione tra i due.
Nella gelosia patologica il soggetto è convinto che la sua iper-vigilanza gli consenta di difendersi da ogni sorpresa, e gli dia la possibilità di riuscire a fronteggiare ogni evenienza, evitando di essere colto alla sprovvista, così Pozdysev è esasperato dal voler conoscere, sapere prima, per poter aspettare la moglie al varco riaffermando così, almeno, la sua superiorità morale, al cospetto dell’immoralità di lei.
Per perseguire il controllo, al servizio dell’evitamento di un anti-scopo legato all’immagine di sé, di colui che non può e non deve essere ingannato, Pozdysev sembra rincorrere la sua presunta verità in modo quasi febbrile, instancabile, per poterla cogliere in tempo, per fronteggiarla piuttosto che esserne sopraffatto, risultandone superiore per il fatto stesso di essere stato in grado di scoprirla da sé.
Guidato da questo scopo, invita il presunto amante, piuttosto che tenerlo a distanza, in un atteggiamento quasi di ipercompensazione rispetto al sentirsi sminuito nel suo valore; l’invito è infatti motivato da tali pensieri «E non pensare che sia geloso di te», dicevo mentalmente a lei, «o che io abbia paura di te», dissi mentalmente a lui. -«Dipende da me», pensavo io, «fare in modo di non vederlo più». Ma fare così significava ammettere che lo temevo. No, non lo temo! Sarebbe stato troppo umiliante, dicevo a me stesso.”
E’ infine evidente, in questo personaggio, un altro aspetto tipico della gelosia patologica, che porta il soggetto a divenire vittima di un dilemma: da un lato crede che la sua gelosia lo protegga, dall’altro teme che possa condurlo ad una perdita di controllo. Lo vediamo nel seguente passaggio in cui Pozdysev ha appena appreso, da una lettera della moglie, che il presunto amante le ha fatto visita in casa durante la sua assenza. Egli si lascia andare, ormai invaso e governato dalla gelosia, a un ragionamento semi-dialettico in cui si alternano in modo asimmetrico ipotesi di pericolo e ipotesi di sicurezza, cerca infatti di tenere a bada quest’emozione, sopprimendo o mettendo in discussione ogni pensiero, cercando rassicurazioni, ma paradossalmente, in questo modo, la mantiene sempre in essere: “E’ tornato ancora una volta in mia assenza! il tono generale della lettera mi sembrava artefatto! Ma no, no, che ci può essere di più naturale di quello che mi scrive? Meglio coricarsi e pensare al lavoro che mi aspetta domani. Poi d’un tratto una specie di scossa elettrica e di nuovo il pensiero che tra lui e lei sia tutto avvenuto. Ma che assurdità, non c’è nessuna base, non c’è stato nulla <<come posso umiliare così lei e me supponendo simili indegnità!>>, mi veniva in mente da un lato. <<Ma come può non essere così?>>, mi veniva in mente dall’altro.”
Tutti i suddetti meccanismi ingabbieranno sempre più il protagonista, contribuendo a preparare il terreno e a renderlo fertile per la nascita dell’intento omicida, vissuto come unica possibilità per affermare quello che Pozdysev ritiene un suo diritto, com’è tipico in chi commette un delitto annebbiato dalla gelosia: “e io mi attribuivo un indubitabile e pieno diritto sul suo corpo, come se si fosse trattato del mio proprio corpo, sentendo al tempo stesso di non poter possedere quel corpo che non era il mio, di cui lei poteva disporre come credeva e desiderava disporne diversamente da come volevo io”; e per somministrare una punizione ritenuta giusta :”un sentimento di gioia perché ora il mio tormento avrebbe avuto fine, perché avrei potuto punirla, avrei potuto liberarmi di lei, avrei potuto dare sfogo alla mia rabbia”.
Dopo aver commesso l’omicidio, il protagonista, che si è visto per tutto il corso dell’opera asfissiato e perseguitato dal timore del tradimento, non cessa di essere tormentato, stavolta dal senso di colpa. Sta, infatti, in una drammatica necessità di espiazione il filo conduttore dell’intero romanzo, nel bisogno di liberarsi da una colpa troppo ingombrante con cui convivere e dunque nella ricerca spasmodica, a tratti grottesca, di un interlocutore disposto ad accogliere, a contenere la confessione: “oddio la seconda campana, devo finire, non c’è più molto tempo, prima che il treno riparta devo finire, mi sento un po’ stanco ma devo finire”.