Le teorie interpretative
Teorie psicoanalitiche-psicodinamiche
Gli psicoanalisti tendono a ricondurre le diverse forme di patologia nevrotica dell’adulto a “fissazioni” alla fase orale (Ruggieri, 1987). Freud, nei suoi primi lavori, vede il rifiuto di cibo nei pazienti anoressici come un sintomo di conversione mettendo in evidenza la rimozione dell’erotismo orale (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999). Nel 1889 Freud, in una lettera a Fliss, fa derivare l’anoressia ad una forma di isteria (in Montecchi, 1994).
Secondo Freud questa forma di isteria trae origine dall’incapacità del soggetto di abbandonare la fase libidica orale e ciò lo porta a sessualizzare le funzioni alimentari. La fissazione a questa fase può causare la perdita dell’appetito e portare al disturbo alimentare (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999). Successivamente, nel 1895, Freud associa l’anoressia ad una forma di melanconia checompare quando la sessualità non si è ancora sviluppata (Montecchi, 1994; Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999), ed il disturbo alimentare deriva dal lutto per la perdita della libido (Ruggieri & Fabrizio, 1994). Freud ha ipotizzato una regressione allo stato “narcisistico” o alla fase dell’ “oralità attiva” dove esperienze traumatiche, legate alla fase orale, hanno portato il soggetto ad una rimozione della libido con una fissazione alla fase pre-edipica dell’oralità e del legame tra pulsione di morte ed alimentazione. Le pulsioni legate al trauma rimosso potrebbero attualizzarsi attraversoil riemergere della libido e predisporre quindi ai disturbi alimentari (Ruggieri & Fabrizio, 1994).
Abraham (1916) vede l’anoressia come uno stato malinconico-depressivo in cui sono proibiti i desideri orali-cannibalici che portano questi soggetti ad un totale rifiuto del cibo (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999).
Waller et al. (1942) pongono l’accento sulle conflittualità familiari dove l’alternarsi degli episodi anoressici verrebbero interpretati come una regressione a un livello infantile con perdita della sessualità cosciente. L’anoressia assume un significato simbolico di difesa nei confronti di fantasie di fecondazione orale, di conseguenza l’amenorrea rappresenterebbe il rifiuto della sessualità genitale e della gravidanza, mentre la costipazione equivale al figlio nell’addome (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999).
La Klein (1967) ritiene che un sano sviluppo psico-fisico derivi dal pasaggio dalla fase schizo-paranoide, in cui il seno materno è dissociato in due oggetti parziali caratterizzati dal seno buono introiettato e dal seno cattivo che viene espulso ed attribuito all’esterno, alla fase depressiva caratterizzata dal relazionarsi non ad oggetti parziali ma ad un oggetto intero (la madre). Secondo la sua teoria l’anoressica non avrebbe completamente superato la posizione schizo-paranoide e rifiuterebbero il cibo in quanto teme che l’incorporazione di quest’ultimo possa distruggere l’oggetto buono (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999).
I Kestemberg (1974), come la klein, vedono l’anoressia mentale come una permanenza nella posizione schizo-paranoide, pertanto l’anoressica non riuscirà a distaccarsi dall’oggetto narcisistico idealizzato rappresentato dalla madre con la quale continuerà a fondersi (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999).
Le varie forme terapeutiche psicoanalitiche sono accomunate dalla focalizzazione non tanto sul sintomo quanto sul processo di sviluppo e di maturazione individuale a cui il sintomo viene associato. Pertanto nel trattamento si fa affidamento alla relazione terapeutica (Faccio, 1999).
Teorie dispercettive
La Bruch (1977) riferisce della mancanza di risposte adeguate da parte dei genitori verso i bisogni del proprio figlio/figlia, ne consegue un’incapacità da parte del bambino di riconoscere e differenziare le proprie sensazioni corporee tra cui la fame. Si manifestano quindi disturbi nel campo percettivo e concettuale (Ruggieri & Fabrizio, 1994). La Bruch riconduce la comparsa del disturbo anoressico ad un rapporto materno troppo opprimente che non lascia molto spazio ai bisogni del soggetto, dove il disturbo rappresenterebbe un modo per conquistare la propria autonomia (Bruch, 1977; Faccio, 1999). L’anoressia viene quindi considerata un modo per ribellarsi al potere soffocante genitoriale.
Teorie relazionali-sistemiche
L’approccio relazionale-sistemico pone l’accento sullo studio degli aspetti interattivi e comunicativi del comportamento umano (De Pascale, 1992), per questo motivo si dà importanza allo studio del sistema familiare del paziente anoressico ed in particolare alla situazione relazionale che ne sta alla base (Santoni Rugiu et al., 2000). Il contesto nel quale è collocato l’individuo, con i diversi processi di feed-back che ne stanno alla base, diventa il luogo della patologia (Minuchin et al., 1978).
Selvini Palazzoli (1998) afferma che una delle caratteristiche più eclatanti in queste famiglie è una difficoltà nello stabilire i ruoli dell’assunsione della leadership, un aspetto che viene sottolineato anche dalla Santoni Rugiu et al. (2000) in quanto in queste famiglie ognuno tende ad attribuire le proprie decisioni alle necessità imposte dalle situazioni e non alla propria volontà.
Minuchin et al. (1980) vede la famiglia del paziente con anoressia mentale come una famiglia senza confini interni, una famiglia “invischiata”, iperprotettiva, con un alto coinvolgimento tra i membri. Ogni membro tende ad intromettersi nei pensieri e sentimenti altrui, e questa invadenza viene giustificata dalla necessità di prendersi cura dell’altro. Quella dell’anoressico è una famiglia che tende ad erigere una barriera più o meno rigida con il mondo esterno considerato pericoloso in quanto potrebbe spezzare quell’armonia patologica interna.
Quello che accomuna le diverse strategie terapeutiche nell’ottica sistemica è il miglioramento del paziente a partire da interventi centrati sulla famiglia che mirano all’acquisizione di modalità relazionali alternative che sostituiscano quelle patologiche (Minuchin et al., 1980; Selvini Palazzoli et al., 1998; Faccio, 1999).
Teorie strategico-interazioniste
Nell’ottica strategico-interazionista nessun comportamento umano può essere compreso senza prendere in considerazione il contesto che lo ha generato, le relazioni ed i significati personali che ne stanno alla base. Anche il disagio, di qualunque genere sia, è l’effetto di un vissuto personale e il trattamento dovrà portare l’individuo a una diversa rappresentazione e narrazione di sé (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Faccio, 1999).
Teoria del set-point
Il nostro organismo tenderà in condizioni fisiologiche normali a mantenere costante il nostro peso corporeo bilanciando l’apporto calorico con il dispendio energetico (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Santoni Rugiu et al., 2000). In casi particolari questo equilibrio può rompersi generando cachessia, quando l’apporto energetico è minore di quello utilizzato, o portando all’obesità quando si verifica il contrario (Ruggieri & Fabrizio, 1994).
Keesey et al. (Ruggieri & Fabrizio, 1994; Santoni Rugiu et al., 2000) hanno formulato la “teoria del set-point” per evidenziare la capacità del nostro organismo di mantenere il nostro peso corporeo intorno ad un punto critico (set-point), nonostante eventuali cambiamenti sia interni che esterni, mediante un processo di retroazione fisiologica situato nell’ipotalamo. Nei soggetti più facilmente influenzabilii meccanismi della regolazione del peso corporeo potrebbero subire delle variazioni in conseguenza anche all’influenza di fattori culturali, psicologici e biologici, in base ai quali divengono maggiormente disposti a violare i propri limiti biologici dando origine alla patologia alimentare, come ad esempio l’anoressia, per far fronte alla continua spinta esterna di adattarsi ai nuovi standard estetici proposti dal contesto sociale in cui sono inseriti (Ruggieri & Fabrizio, 1994).