Scopi e funzioni della rabbia
Le ricerche condotte sul comportamento delle specie animali hanno dimostrato che la rabbia si scatena con lo scopo di garantire la sopravvivenza all’individuo e ai suoi piccoli, e di difendere il cibo e ed il territorio. L’espressione mimica e corporea della rabbia osservata negli animali e negli esseri umani è molto simile, inoltre, gli studi di Ekman e Oster (1979) dimostrano che quella facciale è riconoscibile in persone di culture molto diverse fra loro. I cambiamenti del volto comprendono: aggrottare violento delle sopracciglia, scoprire e digrignare i denti , stringere le labbra mentre gli occhi appaiono lucidi.
Figura 1. Alcune delle facce di Ekman che rappresentano l’espressione di rabbia (Ekman, P. Oster, H. 1979)
La teoria cognitiva assume che la condotta degli esseri umani sia regolata da scopi, cioè da stati desiderati, che possono essere più o meno espliciti e che l’individuo cerca di raggiungere o evitare. Tangney (2002) ha individuato nelle sue ricerche, gli scopi sottostanti alle manifestazioni di rabbia, che ci consentono di capire ciò che le persone cercano di ottenere arrabbiandosi.
Scopi costruttivi: volti a modificare il comportamento altrui e rendere più stretta la relazione con la persona con cui ci si arrabbia, di asserire la propria libertà ed indipendenza e di ottenere che gli altri facciano qualcosa di utile per sé stessi.
Scopi malevoli: permettono di rompere o peggiorare i rapporti con l’altra persona, di vendicarsi per un torto subito, e di esprimere odio e disapprovazione.
Scopi evasivi: che servono a far diminuire l’intensità della rabbia attraverso lo sfogo dell’aggressività oppure lasciando perdere.
Altre funzioni collegate all’espressione dell’aggressività riguardano lo stabilire la gerarchia, nel mondo animale, essa si traduce quasi sempre in una “precedenza” che l’animale “non dominante” concede all’altro, più precisamente l’animale non dominante inibisce la propria aggressività con l’altro in seguito ad una esperienza precedente fallita di combattimento (Castelfranchi, 1998). Questa competizione permette di definire il rango cioè una differenza di potere fra gli appartenenti alla stessa specie che si osserva sia nel mondo animale ma anche nell’organizzazione delle società umane (Castelfranchi, 1998).