Conclusioni

 

La formulazione del caso clinico incentrata su una chiara definizione degli schemi usati prevalentemente dal soggetto e delle modalità attraverso cui si sono formati aiuta il clinico nella strutturazione di un intervento efficace, perché permette di lavorare su quei fattori di rischio che più spesso possono turbare la sensibilità del paziente.

Partire dai problemi e dal sistema di credenze del soggetto senza testare gli schemi che ne sono alla base ci può esporre il rischio di adattare procedure che, seppur efficienti e manualizzate, possono non rendere conto dei fattori soggettivi di vulnerabilità del paziente. Gli schemi e il sistema di convinzioni sono aspetti che devono essere indagati nella loro complessità: è importante, infatti, conoscere ciò che pensa il paziente di se stesso, ma non si può trascurare la costruzione di significati che egli fa anche degli altri, del mondo e del futuro. Basti pensare che persone che hanno uno schema di sé simile possono in realtà manifestare molte divergenze sia nei loro comportamenti sia nella sintomatologia clinica. Ad esempio uno schema del tipo: “io sono inadeguato” può portare ad esiti diversi se associato a schemi degli altri del tipo “gli altri sono critici” o del tipo“gli altri sono protettivi”: nel primo caso possiamo attenderci che il paziente manifesti comportamenti probabilmente evitanti, nel secondo che manifesti tratti di dipendenza interpersonale.

La comprensione della tipologia di schemi dei pazienti è fondamentale nell’approccio clinico. A tal proposito l’uso di questionari anamnestici mirati, come ad esempio il Dysfunctional Attitude Scale (Weissman e Beck, 1978, Beck, 1979), lo Young Schema Questionnaire (Young 1990), si rivela molto utile per identificare i pensieri condizionali e i core belief tipici dei pazienti e ci aiuta ad avere una prima, seppur sommaria, concettualizzazione del sistema di pensiero del paziente.

Il cambiamento degli schemi maladattivi è un processo che innanzitutto prevede l’identificazione di schemi alternativi, più adattivi e funzionali. Per individuarli è possibile chiedere al paziente :

Come ti piacerebbe essere?

Se non fossi……come ti piacerebbe essere?

Se gli altri non fossero…..come ti piacerebbe che fossero?

E’ possibile definire gli schemi centrali dell’individuo in termini di condizioni esistenziali particolarmente avverse, che l’individuo desidera evitare, non vivere o ri-vivere più, o condizioni esistenziali che a cui auspica pervenire?

Mancini (2008, p. 45), riprendendo la letteratura di Shakespeare riconduce la sofferenza individuale a due domini esistenziali: esperienze di orgoglio ferito e di amore non corrisposto. Veglia (2003, p. 67) individua due aree tematiche alla base del modo in cui le persone sviluppano una coscienza di sè, degli altri e del mondo: la tematica del controllo/potere e della semantica /condivisione. In che modo le persone divengono sensibili a particolari temi?

I modelli di Young e Berne cercano di risponedre a tale domanda sottolineando quanto esperienze precoci di interazione con i caregiver determinino lo sviluippo di particolari schemi o decisioni esistenziali tali da permettere al soggetto di evitare nuovamente la frustrazione di bisogni di accudimento, cura, riconoscimento o protezione. Il focus terapeutico prevede quindi un lavoro sulla genesi degli schemi disadattivi. A tal proposito Young propone l’utilizzo di una serie di tecniche immaginative volte a far dialogare il paziente con le persone che hanno contribuito alla formazione dello schema (ad es. i genitori) o che lo rinforzano nella vita quotidiana. Grazie all’aiuto del terapeuta il paziente diviene in grado di identificare i bisogni che il genitore ha frustrato quando il soggetto era bambino ed esprimere il suo dissenso per aver trascurato le sue necessità.

Il modello terapeutico di Eric Berne si basa sulla individuazione e rimozione delle decisioni di copione. L’analisi delle scene connesse alla formazione della decisione di copione e il processo di ridecisione aiutano il paziente a liberarsi dai condizionamenti e a basare il suo funzionamento sullo stato dell’Io Adulto, capace di mediare le richieste degli Stati Genitore e Bambino.

Il modello di Lorna Benjamin sottolinea la genesi interazionale degli scopi di vita delle persone, proponendo un lavoro terapeutico che mira a far sviluppare nel paziente delle modalità di risposta corrette: aumentare la collaborazione, facilitare l’apprendimento sui modelli, mobilitare la volontà, bloccare i modelli disfunzionali e/o insegnare nuovi modelli.

La questione dei temi di vita è un argomento complesso e una sfida per la clinica; il suo approfondimento ci consente di non perdere di vista la componente esistenziale, unica e irripetibile, dell’essere umano che si trova davanti a noi.

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Autore Mara Romiti

Specializzata a Roma, training Mancini (Spc)

e-mail: mara-romiti@libero.it

Per comunicare con l’autore potete scrivere alla mail personale, se fornita, o a quella della rivista: psicoterapeutiinformazione@apc.it


[1] Benjamin L. S. (1999) Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità, LAS, Roma, p. 58.

[2] Benjamin L.S. (1999), op citata, p. 68.

[3] Benjamin L.S (1999), op. citata

[4] BENJAMIN L. S. (1999). Diagnosi di interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità, Edizione LAS, Roma, pp. 368-377.

[5]Ibidem, pp. 397-402.

[6] Ibidem, pp. 143-155.

[7] Ibidem, pp. 238-250.

[8] Ibidem pp. 176-185.

[9] Ibidem pp. 206-217.

[10] Ibidem, pp. 345-351.

[11] Ibidem, pp. 269-276.

[12] Ibidem,   pp. 292-302.

[13] Ibidem,   pp. 318-325.

[14] D’ora in poi indicate con la lettera maiuscola.

[15] Spitz R., “Hospitalism, Genesis of Psychiatric Conditions in early Childhood”, Psychoanalytic Study of the child. 1: 53-74,1945.

 

[16] Lo stato dell’Io Genitore dei genitori invia messaggi allo stato dell’Io Genitore del Bambino; lo stato dell’Io Adulto del genitore invia messaggi allo stato dell’Io Adulto del bambino e , infine, lo stato dell’Io Bambino del genitore invia messaggi allo stato dell’Io Bambino del figlio. Questa tipologia di transizioni è detta messaggi e permea la personalità del bambino.

[17] Adattata da Stewart- Joines (2000), p. 171

[18] Vedi Stewart-Joines, 2000, p. 171

[19] Kahler T., in Scilligo P., Bevilacqua T., Natilla A. (2004), p. 319

[20] YOUNG J. et al. (2007). Schema Therapy, Ed. Eclipsi, Firenze, p. 7

[21] Adattata da YOUNG J., et al. (2007), op. cit., pp. 16-19.

[22] Young et al. (2007), op. citata, p.40.