Il trattamento dei deliri
Le fasi dell’intervento terapeutico sui deliri nel modello di Chadwick e Birchwood (strutturato sulla base dell’ABC) possono essere così sintetizzate:
1) Messa a fuoco del problema;
2) valutazione del problema emotivo/comportamentale (C);
3) valutazione dell’evento scatenante (A);
4) valutazione delle credenze B (immagini, inferenze, valutazioni) utilizzando la concatenazione di pensieri;
5) Messa in discussione delle credenze disfunzionali del paziente.
1) Messa a fuoco del problema: Chadwick e Birchwood (1996) suggeriscono di condurre i
primi due o tre incontri con il paziente in modo non direttivo, incoraggiandolo a raccontare la sua storia, il suo problema attuale, gli eventi scatenanti e le precoci esperienze traumatiche o di apprendimento che possono aver contribuito alle vulnerabilità personali. Solitamente è meglio non cominciare subito con una discussione dell’esperienza delirante; piuttosto, può essere utile indagare come la persona si è sentita venendo al colloquio, comprese le preoccupazioni sul terapeuta sopra esposte, e in che modo è arrivata alla terapia (ad esempio su invio dei familiari o di un altro professionista).
2) Valutazione delle C: come già accennato, nella terapia cognitiva il problema di cui ci
si occupa riguarda le C, ovvero le difficoltà emotive o comportamentali del paziente (ansia, turbamento, comportamento distruttivo, disturbante o autolesivo). Gli autori evidenziano come la terapia cognitiva non possa essere applicata laddove non siano presenti problemi seri a livello delle C indipendentemente da quanto bizzarre siano le credenze del paziente (B) o negativi gli eventi di vita (A).
3) Valutazione delle A: lo scopo della valutazione delle A è portare il paziente a fornire
un resoconto oggettivo e fattuale dell’evento specifico che “ha fatto scattare le C”, preferibilmente un evento recente. Va prestata attenzione alla necessità di ottenere una valutazione dell’ABC partendo da una A specifica e dettagliata e non generica.
4) Valutare le credenze B (immagini, inferenze, valutazioni) utilizzando la concatenazione
di pensieri: il compito del terapeuta è, a questo punto, quello di valutare le immagini, le inferenze, le valutazioni e gli assunti disfunzionali correlati alla sequenza A-C, spiegando inoltre al paziente che il significato che gli eventi hanno per lui (B) è centrale per comprendere il suo problema. Quasi sempre la concatenazione dei pensieri comincia con un’inferenza ed al termine di una catena di inferenze o deduzioni si trovano di solito una o più valutazioni (negative) riguardo al sé, agli altri, o alle circostanze.
Valutazione delle credenze (B): i deliri
I deliri sono credenze complesse e gli attuali metodi di valutazione riflettono la necessità di prendere in considerazione molte dimensioni diverse del pensiero delirante: certezza, preoccupazione, formazione, suscettibilità al cambiamento (reazione alla contraddizione ipotetica). Per convenzione la certezza (ovvero quanto la persona è sicura di una credenza) e la preoccupazione (quanto tempo passa a riflettere sulla credenza) sono le misure principali del pensiero delirante e di come può modificarsi nel corso della terapia. La formazione dei deliri nel corso del tempo può essere indagata prendendo in esame il racconto della storia di vita fatto dal paziente, con particolare attenzione a quelle che egli considera le influenze importanti sul delirio stesso.. Secondo gli autori, un metodo di valutazione della suscettibilità al cambiamento del paziente è la RTHC (reazione alla contraddizione ipotetica). Si tratta di una valutazione dell’attitudine personale ad accettare il cambiamento. Al paziente viene cioè descritto un evento ipotetico che sia in contraddizione con il delirio e viene chiesto in che modo, nel caso tale evento si avverasse, ciò cambierebbe il suo delirio. Alcune ricerche condotte dagli autori sembrano evidenziare che la risposta dei pazienti alla RTCH sia in qualche modo connessa alla risposta positiva alla terapia cognitiva e che la disponibilità al cambiamento sia correlata al grado di coinvolgimento emotivo controllato dal delirio (Chadwick e Lowe, 1994).
Valutazione delle credenze valutative di base (B)
Nella valutazione delle B il terapeuta cerca di chiarire non solo il delirio, ma anche tutte le credenze valutative sottostanti ad esso con particolare riferimento alle valutazioni di sé e dell’altro. Questa operazione assume un significato particolare se si considera che il delirio possa rappresentare il tentativo di difendere il sé minacciato ed abbia la funzione di prevenire che un tipo di pensiero autosvalutativo prenda il sopravvento, portando con sé le emozioni associate: colpa, vergogna e disperazione. Chadwick e Birchwood descrivono alcune operazioni terapeutiche che il terapeuta dovrebbe mettere in atto al fine di passare dalle inferenze deliranti (pensieri automatici) alle valutazioni.
Nel caso di deliri paranoidi o di deliri nei quali siano prevalenti i problemi emotivi legati all’ansia, alla depressione e alla rabbia (ad esempio i deliri di colpa), il terapeuta dovrebbe utilizzare la tecnica delle concatenazioni di pensieri per progredire dall’inferenza più superficiale alla credenza valutativa, presupponendo che l’inferenza (delirante) sia vera. Si tratta cioè di analizzare le valutazioni negative altri-sé e sé-sé chiedendo al paziente come si sentirebbe se la sua ideazione paranoide fosse vera. Nel caso di deliri dal contenuto grandioso è spesso necessario, per passare dalle inferenze deliranti alle credenze valutative chiedere al paziente di immaginare che l’inferenza delirante sia falsa (non vera) e indagare l’effetto che questo avrebbe sul paziente stesso. Ancora una volta l’obiettivo è quello di indagare nel paziente i giudizi sé-sé, altro-sé e sé-altro. Tal strategia deriva dal ritenere che il delirio di grandezza rappresenti un meccanismo di difesa nei confronti delle autovalutazioni negative del paziente su di sé. In altri termini, l’autovalutazione minacciosa del paziente (sono totalmente cattivo) verrebbe convertita nel delirio, così che il paziente diventa totalmente buono e degno di stima. La chiave delle autovalutazioni negative si trova nella credenza grandiosa del paziente, ma per poterla disvelare è necessario che il paziente immagini per un momento che il delirio sia falso. Lo stesso tipo di strategia va messa in pratica nei confronti di pazienti affetti da deliri somatici: in questi casi è possibile che il delirio “copra” le vere cause del disagio del paziente (credenze autosvalutative) e per poterle scoprire diventa necessario che il paziente immagini che il delirio somatico non sia vero.
5) Mettere in discussione le credenze disfunzionali del paziente (B): la sfida ai deliri
Da quanto sopra esposto risulta chiaro che la sfida ai deliri, considerati come inferenze, consiste nel riesaminare le prove a favore e contro il delirio, creare spiegazioni alternative possibili all’interpretazione degli eventi e fare delle prove empiriche. Compito del terapeuta è quello di indebolire non solo i deliri, ma anche le credenze valutative associate, con particolare riferimento alle valutazioni sul sé (sono totalmente cattivo) e sugli altri (sei totalmente inferiore).
Chadwick e Birchwood (1996) hanno identificato alcuni elementi base della terapia cognitiva dei deliri che, sebbene vengano descritti come elementi discreti per chiarezza esplicativa, non vanno considerati tuttavia come rigidamente separati.
Procedure per indebolire il delirio: la disputa o sfida verbale
La disputa (o sfida verbale) comprende quattro elementi:
a) sfida verbale alle credenze deliranti meno centrali
Una delle maggiori difficoltà che si possono incontrare quando si cerca di mettere in discussione credenze fortemente radicate è la reazione psicologica di resistenza dell’individuo che può portare, come conseguenza, a rafforzare la credenza stessa. Due operazioni possibili per ridurre questo rischio sono: 1) cominciare con la credenza meno importante e 2) lavorare sulle prove a sostegno della credenza piuttosto che sulla credenza in sé.
b) messa in dubbio della coerenza interna e della plausibilità del sistema delirante
Anche se i deliri contengono gradi differenti di incoerenza e irrazionalità, tutti i deliri sembrano averne un po’. Il terapeuta deve prestare attenzione ad ogni minima incoerenza nel sistema di credenze del paziente, il che equivale a porre la domanda: “avrebbe senso se le cose fossero come lei dice che siano?”
c) riformulazione del delirio come reazione a esperienze specifiche e come tentativo di dotarle di senso
Seguendo il pensiero di Maher (1988), gli autori interpretano sempre il delirio come una reazione ad esperienze minacciose o sconcertanti (A) e come un tentativo di dar loro un senso. Si tratta di un tentativo comprensibile e ragionevole di provare a dare un significato a momenti di vita in cui la persona si sente ansiosa, spaventata, minacciata o confusa. Il delirio ha la forza psicologica di ridurre il senso di confusione. Tuttavia le credenze deliranti portano con sé anche un costo in termini di turbamento emotivo e di disagio che altrimenti la persona non sperimenterebbe. Questo modo di guardare al delirio viene condiviso con il paziente.
d) valutazione del delirio e delle alternative possibili alla luce delle informazioni disponibili
A questo punto, il terapeuta ed il paziente fanno una valutazione del delirio e delle alternative ad esso alla luce di quanto discusso precedentemente e tenendo conto delle prove disponibili. Compito del terapeuta è quello di illustrare al paziente i vantaggi di adesione alla nuova spiegazione non delirante degli eventi.
Procedure per indebolire il delirio: prove empiriche
Una parte fondamentale della terapia cognitiva consiste nel sottoporre le credenze deliranti del paziente a delle prove empiriche. Si tratta di “esperimenti comportamentali” (Beck et al. 1979), cioè di un esame di realtà che comprende la pianificazione e lo svolgimento di un’attività che convalida o smentisce una credenza, o una parte di essa. Lo scopo principale delle prove empiriche è quello di ottenere un cambiamento nella credenze del paziente.
Chadwick e Birchwood (1996) sottolineano come gli esperimenti comportamentali, per quanto importanti, non rappresentino il modo più efficace per indurre il paziente a modificare la sua credenza e come gli effetti delle prove empiriche siano meno evidenti di quelli che si osservano quando viene utilizzata la sfida verbale come intervento iniziale. Questo può essere spiegato pensando al fatto che, con molta probabilità, il paziente ha bisogno di una cornice esplicativa alternativa al delirio (derivante dalla sfida verbale) prima di poter assimilare e dar senso alla confutazione empirica.