Classificazioni diagnostiche

Il DSM-IV TR include nella sezione “Schizofrenia ed altri Disturbi Psicotici” numerosi disturbi accomunati dalla presenza di sintomi psicotici. “Il termine psicotico ha ricevuto storicamente una quantità di definizioni differenti, nessuna delle quali ha raggiunto un’accettazione universale.

La definizione più ristretta del termine psicotico è limitata ai deliri o alle allucinazioni rilevanti, quando queste ultime si verificano senza consapevolezza da parte del soggetto della loro natura patologica” (DSM-IV TR, pag. 325).

Deliri e allucinazioni sono identificati dal DSM-IV TR come sintomi caratteristici della schizofrenia (vedi tabella 1).

 

A.                     Sintomi caratteristici: due (o più) dei sintomi seguenti, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo durante un periodo di un mese (o meno se trattati con successo):

1)                     Deliri

2)                     Allucinazioni

3)                     Eloquio disorganizzato (per es., frequenti deragliamenti o incoerenza)

4)                     Comportamento grossolanamente disorganizzato

5)                     Sintomi negativi, cioè appiattimento dell’affettività, alogia, abulia.

 

Nota: è richiesto un solo sintomo del Criterio A se i deliri sono bizzarri, o se le allucinazioni consistono di una voce che continua a commentare il comportamento o i pensieri del soggetto, o di due o più voci che conversano fra loro.

 

B.                     Disfunzione sociale/lavorativa: per un periodo significativo di tempo dall’esordio del disturbo, una o più delle principali aree di funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali, o la cura di sé si trovano notevolmente al di sotto del livello raggiunto prima della malattia (oppure, quando l’esordio è nell’infanzia o nell’adolescenza, si manifesta un’incapacità di raggiungere il livello di funzionamento interpersonale, scolastico o lavorativo prevedibile).

 

C.                    Durata: segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo di 6 mesi deve includere almeno 1 mese di sintomi (o meno se trattati con successo) che soddisfino il Criterio A (cioè sintomi della fase attiva) e può includere periodi di sintomi prodromici o residui. Durante questi periodi prodromici o residui, i segni del disturbo possono essere manifestati soltanto da sintomi negativi o da due o più sintomi elencati nel Criterio A presenti in forma attenuata (per es., convinzioni strane, esperienze percettive inusuali.

 

D.                    Esclusione dei Disturbi Schizoaffettivo e dell’Umore:  il Disturbo Schizoaffettivo e il Disturbo dell’Umore con Manifestazioni Psicotiche sono stati esclusi poiché: (1) nessun Episodio Depressivo Maggiore, Maniacale o Misto si è verificato in concomitanza con i sintomi della fase attiva; (2) oppure, se si sono verificati episodi di alterazioni dell’umore durante la fase dei sintomi attivi, la loro durata totale risulta breve relativamente alla durata complessiva dei periodi attivo o residuo.

 

E.                     Esclusione di sostanze e di una condizione medica generale: il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una sostanza di abuso, un farmaco) o una condizione medica generale.

 

F.                   Relazione con un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo: se c’è una storia di Disturbo Autistico o di Altro Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, la diagnosi addizionale di Schizofrenia si fa soltanto se sono pure presenti deliri o allucinazioni rilevanti per almeno un mese (o meno se trattati con successo).

Tabella 1. Criteri diagnostici per la Schizofrenia (tratto dal DSM-IV TR.)

Nel 1980 T.J. Crow ha proposto una distinzione dei pazienti schizofrenici in tipo I e di tipo II, in base alla presenza di sintomi positivi per il tipo I (deliri e allucinazioni) e di sintomi negativi per il tipo II (appiattimento affettivo, alogia, abulia, blocco mentale, scarsa cura di sé, isolamento sociale, anedonia) (Kaplan & Sadock, 2001). Una terza categoria, quella disorganizzata, è stata aggiunta in seguito ed include la disorganizzazione del linguaggio e del comportamento, deficit cognitivi e dell’attenzione. Seguendo tale classificazione, i sintomi psicotici possono essere raggruppati in tre dimensioni principali:

§  La prima dimensione fa riferimento ad una trasformazione della realtà; sul piano clinico si manifesta con l’ampia gamma dei sintomi positivi (deliri e allucinazioni);

§  La seconda dimensione è rappresentata dall’impoverimento ideoaffettivo e si esprime sul piano clinico con i sintomi negativi (anaffettività, abulia, apatia, ritiro sociale, pianificazione degli scopi pressoché assente);

§  La terza dimensione è rappresentata dalla disorganizzazione, con alterazioni linguistiche e di ragionamento che appare illogico e caotico.

Nel presente lavoro, il termine “sintomi positivi” verrà utilizzato per indicare deliri e allucinazioni.

Considerazioni critiche sulla diagnosi

Sebbene lo sviluppo di sistemi diagnostici condivisi rappresenti un importante progresso che consente di raggiungere un accordo sui termini “schizofrenia” o “psicosi” dal punto di vista dell’individuazione dei pazienti e del confronto dei risultati delle ricerche, sul piano clinico l’uso di tali diagnosi per definire i processi sottostanti al disturbo, i fattori causali specifici, gli esiti o le risposte al trattamento è assai limitata. In tal senso Perris (2000) sottolinea come sotto il termine “schizofrenia” confluiscano molti sottogruppi eziologici e patogenetici di malattie che non si è ancora in grado di distinguere e che possono presentare una sintomatologia comune. Propone quindi di sostituire il termine schizofrenia con “disturbo o sindrome di tipo schizofrenico” e di collocare tale sindrome su un continuum con l’esperienza normale. Analogamente Chadwick, Birchwood e Trower (1997) ritengono che l’aver considerato la schizofrenia un concetto unitario per descrivere certi sintomi (deliri, allucinazioni, disturbi del pensiero, ecc.) al di fuori del funzionamento psicologico ordinario, abbia rallentato la possibilità di applicare la teoria e la terapia cognitive al trattamento delle psicosi. A tal proposito sottolineano come, dal punto di vista scientifico, l’utilità e la validità di una diagnosi possano essere valutate in base alla capacità di fornire al clinico: la prognosi probabile per le persone che rispondono ai criteri diagnostici; informazioni sull’eziologia del disturbo; indicazioni sul trattamento più adeguato. Dal momento che il concetto di schizofrenia tradizionalmente inteso nell’attualità non sembra fornire al clinico informazioni decisive in nessuno dei tre punti sopra citati, gli autori propongono di affrontare i fenomeni psicotici studiando i singoli sintomi, in modo da facilitarne l’esplorazione sul piano psicologico e psicoterapico.  L’approccio è quindi quello di considerare le voci ed i deliri come normali principi psicologici, dando una maggiore attenzione ai tentativi della persona di dare una spiegazione all’esperienza individuale, anche alla luce della propria storia.