Paragone, prospettiva, metaanalisi e discussione
Saranno di seguito riassunti e paragonati tra di loro le prove di efficacia delle tecniche citate.
La REI è la tecnica che indubbiamente lavora più sulla emozione avversa, con un metodo “classico” di intervento di risoluzione. L’intervento viene “iniziato”, proposto e ”sollecitato” dal terapeuta e consiste nel dirottare/ sostituire/ scongiurare l’emozione avversa trasformandola in emozione “sopportabile”.
Nell’ IRRT il processo consiste nel “riscrivere” mentalmente la sequenza che ha causato il PTSD . L’ “ideazione” di una sequenza meno drammatica avviene nella maggiore dei casi, con le qualità attuali del paziente oppure con un aiuto “immaginato”. Questo “riscrivere” la sequenza è il meccanismo basale anche nelle tecniche orientate alle risorse. Lì, come nell’ IRRT il lavoro immaginativo è guidato e supportato. Nella “ri-immaginazione” orientata alle risorse, questo avviene con meno interventi verbali del terapeuta.
L’ EMDR con l’elaborazione accelerata è una tecnica che cerca di appoggiarsi a aspetti neurofisiologici e neuropsicologici. Ciò fornisce all’ EMDR il vantaggio di avere un canale in più, mentre nelle prime tre forse il vantaggio è che il paziente si sente più lui stesso ad essere il protagonista del cambiamento.
Tutte quattro lavorano in una prospettiva di esposizione, cosa che non si puó dire per la Mindfulness, che non è una tecnica che mira ad una esposizione immaginativa, ma non la sopprime.
La Mindfulness porta una visione diversa e coglie aspetti/dimensioni a prima vista difficilmente comprensibili per una visione “confrontativa” (problema → antidoto/rimedio → risoluzione del problema) che è tipica per una visione occidentale. La Mindfulness, con il suo metodo di “assistere” e di stare nella percezione (con l’unico supporto di “percepire” il respiro) e con i viaggi mentali immaginati, attinge a un’ atteggiamento e ad un relazionarsi alla propria sofferenza in un modo marcatamente diverso dalle altre tecniche qui discusse. Traguardo di questa tecnica è dare al paziente la capacità di relazionarsi diversamente alla sofferenza sottolineando gli aspetti di “transitabilitá” ed “accettabilità”, concetti che anche nelle visioni “occidentali” hanno rivestito sempre maggior importanza.
Possiamo riassumere che il lavoro con l’ immaginazione abbia il fine di rendere il paziente capace di sopportare e gestire la sofferenza (evocata dall’ evento traumatizzante) e integrarla nella sua storia di vita personale. Questo fine si ritrova però in tutte le tecniche cognitive comportamentali anche in quelle, che non attingono alle capacità immaginative. È però molto probabile ed in parte solidamente dimostrato, che gli strumenti più diretti alla rielaborazione della memoria procedurale si dimostrino particolarmente efficaci in confronto a interventi strettamente e solamente cognitivi e/o comportamentali ( che lavorano primariamente a livello di memoria semantica ed episodica).
La nostra professione non ci chiede solo di alleviare la sofferenza del paziente, ma di farlo in maniera diretta, con metodi che hanno una base teorica solida, con una probabilità di guarigione dimostrabile, e ci chiede anche, di essere al corrente sulle conoscenze scientifiche aggiornate.
Sarebbe utile, sapere per esempio, se c’é una tecnica che è maggiormente indicata per il PTSD, oppure se una delle tecniche è più indicata per una certa tipologia di PTSD, oppure più indicata per un certo tipo di paziente, per l’intensitá del PTSD ecc.
Saranno illustrati di seguito i risultati della ricerca sugli studi scientifici comparativi riguardanti l’effetto delle tecniche applicate nel PTSD (sempre rimanendo nell’orientamento Cognitivo Comportamentale).
Le meta – analisi, in questo caso sono lo strumento di “eccellenza” per sostenere affermazioni scientifiche. Si farà riferimento a due meta-analisi, che sia dal punto di vista del rilevamento dei dati, che dal punto di vista della rilevanza internazionale sembravano interessanti.
Una è la meta- analisi di Bradley, Greene, Russ, Dutra e Western pubblicata nel American Journal of Psichiatry nel febbraio del 2005 , l’ altra di Mitte, pubblicata dall’Università di Jena nel 2006.
Quest’ ultima, era stata progettata come studio comparativo per valutare l’ efficacia di diverse tecniche cognitive comportamentali nei disturbi d’ ansia ( tra i quali il PTSD era stato valutato separatamente) a confronto al trattamento farmacologico.
Questa meta-analisi, non paragonando le varie tecniche cognitivo comportamentali tra di loro, ma comprandole con il trattamento farmacologico si occupa solo della questione del confronto di efficacia tra trattamento farmacologico e psicoterapico.
I risultati sono:
§ I risultati ottenuti dai trattamenti psicoterapeutici dimostrano un’efficacia paragonabile a quella farmacologica (il trattamento con SSRI era il più efficace)
§ I pazienti con PTSD dimostrano maggiore accettazione del trattamento psicologico, la compliance è maggiore, meno drop out
§ gli effetti di trattamenti psicologici dimostrano stabilità nel tempo, cosa che per il trattamento farmacologico non è stato possibile indagare
La meta analisi di Bradley, Greene, Russ, Dutra e Western invece aveva lo scopo di paragonare l’efficacia delle diverse tecniche Cognitive Comportamentali (includendo anche quelle immaginative) nel trattamento del PTSD.
Cercando una prospettiva sull’efficacia delle diverse tecniche che sia capace di rispecchiarne i punti di forza nella complessità dei possibili approcci di trattamento del PTSD riscontriamo una serie di problemi.
Il primo problema è che le tecniche sopra descritte non sono approcci a sé stanti ma elementi integrati, all’interno di un processo terapeutico. Questo è il caso sia per la REI, che per la Imagery rescripting and reprocessing Therapy, che per la Mindfulness, o meglio per la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (Segal, Williams& Teasdale, 2002 ), – tutte tecniche che hanno trovato le loro specifiche possibilità di applicazione sempre in una cornice di un approccio/orientamento generale
Un’ eccezione sembra essere la tecnica EMDR, che è identificabile come approccio a sé stante nelle ricerche scientifiche di efficacia terapeutica (bisogna dire però che, anche la tecnica EMDR è concepita come una parte integrante di un’approccio terapeutico piú ampio). Fatto è però, che negli studi comparativi l’ EMDR viene elencato come tecnica a sé stante, fatto che non avviene per le altre tecniche.
Anche la Mindfulness non è identificata come tecnica; questo però per il fatto che gli studi su questo approccio non sono ancora entrati nelle meta-analisi.
Abbiamo in questa meta- analisi allora un quadro di paragone di varie tecniche: quelle più centrate su una esposizione con ristrutturazione cognitiva, altre ad esposizione immaginativa e ristrutturazione cognitiva, esposizione e skill training , solo tecniche immaginative, desensibilizzazione e EMDR, altre ad esposizione e EMDR ecc.
Per la comparazione tra loro sono state unite in 5 tipi di trattamenti:
– terapie basate sull’esposizione (13)
– terapie cognitivo comportamentali diverse dall’esposizione (5 )
– terapie combinate, cognitivo comportamentali + esposizione ( 9)
– desensibilizzazione dei movimenti oculari e rielaborazione (10 )
– altre (7)
I risultati dell’efficacia differenziale:
1. Non è stata trovata una differenza significativa di efficacia tra i diversi trattamenti cognitivo comportamentale (con o senza esposizione) o tra questi e la desensibilizzazione dei movimenti oculari e rielaborazione
2. Gli autori annotano che non ci sono spiegazioni chiare a riguardo di questo anche perché i dati sono pochi e disomogenei.
Una possibile spiegazione per questo quadro poco differenziabile è forse riscontrabile nelle sollecitazioni con le quali Cesare De Silvestri ed al. (1995), hanno cercato di inquadrare queste difficoltà. Questi autori si sono posti la domanda se le particolari caratteristiche dei trattamenti delle varie scuole psicoterapiche (REBT – Ellis, RBT – Maultsby, PCT – Kelly, MT- Lazarus, SCT Liotti ecc.) sono così importanti da rendere molto diversa la psicoterapia che riceve il paziente. Questi autori presumono infatti che si tratta di differenze teoriche o addirittura nominalistiche. “Potrebbe infatti darsi che tutte queste psicoterapie in realtà offrano lo stesso tipo di trattamento ma lo spieghino in modo diverso e con termini diversi.” (De Silvestri, 1995)
Tuttavia, tornando ai risultati della meta-analisi gli autori Bradley, Greene, Russ, Dutra e Western traggono una serie di implicazioni tra i quali le più importanti sono:
• una varietà dei trattamenti (esposizione in primo luogo, ma anche gli altri approcci cognitivo comportamentali, desensibilizzazione dei movimenti oculari e rielaborazione) sono molto efficaci nel ridurre i sintomi del PTSD
• il 40-70% dei pazienti risponde positivamente al trattamento: i trattamenti possono ridurre sostanzialmente i sintomi o a modificarli in tal modo che non sono più inquadrabili come PTSD
• l’effetto persistente per più di 6-12 mesi non è stato valutato nelle singole ricerche
• Visto che una vasta gamma di pazienti è stata esclusa da questi studi (concomitanza con: disturbi organici, disturbi psicotici, rischio di suicidio, abuso di droghe/alcol) e visto quelli, che non hanno risposto alla terapia, c’è necessità di ulteriori e approfonditi studi che siano in grado di valutare a) sia altri tipi di trattamenti e/o aumentare il numero di trattamenti b) valutare diversi parametri di trattamenti (come per esempio la durata del trattamento) c) parametri che tengono conto dei diversi tipi di traumi (eventi traumatici forti ma discreti o ripetuti traumi infantili)
È auspicabile, come scrive van der Kolk, che ulteriori ricerche approfondite siano in grado a dare risposta a questi questioni.