Ipotesi sul funzionamento psicologico
La pz riferisce il timore di contaminarsi venendo a contatto con oggetti sporchi: cibo, aria, polvere, sedie, panchine, cassetti, indumenti, scarpe, contenitori dell’immondizia, sanitari, pareti del bagno, porte e maniglie di esercizi pubblici, denaro.
Il timore di contaminazione è accompagnato da un intenso stato ansioso e seguito da persistenti ruminazioni: «Mi sarò contagiata toccando quella maniglia o quelle scarpe?….Mi sento sporca, devo prendere provvedimenti….Mi lavo, altrimenti sarò poco gradevole agli occhi degli altri…Devo tenere tutto sotto controllo»: oppure «Mi sarò lavata per bene?….Avrò pulito la parte contaminata?….Ho eliminato lo sporco?…..Adesso che mi sono lavata e che sono pulita, sarò accettata dagli altri?».
La pz, cede alla tentazione di lavarsi, a fronte di situazioni connotate come indefinite. Specificamente:
§ Nelle situazioni in cui è sola in casa: non sa cosa fare, si sente giù di tono e sperimenta un senso di inutilità (incertezza);
§ Nelle situazioni interpersonali: si percepisce inadeguata, impacciata, non sa cosa fare, sperimenta una forte emozione di ansia;
§ Nelle situazioni interpersonali in cui prevale la delusione di aspettative in relazione a comportamenti altrui (imprevedibilità);
§ Nelle situazioni in cui ha la sensazione di essersi contagiata o sporcata (dubbio).
Il comportamento compulsivo è regolarmente correlato a situazioni caratterizzate da una condizione d’indecifrabilità (nel caso di situazioni private) ed a situazioni dove prevalgono aspetti non previsti (nel caso di situazioni interpersonali). L’insieme di stimoli che attiva nella paziente la condotta compulsiva di lavaggio sembra rappresentato dalla classe di connotazione relativa all’incertezza.
Ciò che fa la paziente – immediatamente dopo l’esposizione alle situazioni sopra identificate – è il tentativo di esercitare un controllo per ridurre il margine di incertezza (ridurre l’imprevedibilità). Appare legittimo chiedersi come mai la paziente sia così sensibile all’incertezza.
A venirci incontro, alcuni episodi della storia personale che probabilmente hanno agito da operazioni stabilizzanti:
§ La pz percepisce lontana la figura del padre: viene accudita dalla nonna e dalla mamma. Quando lei chiede alla madre spiegazioni circa il comportamento del padre (assente, distaccato), la madre non la degna di una risposta. A. può soltanto immaginare, non possedendo altre informazioni che le darebbero maggiore sicurezza.
§ La pz, subisce spesso i rimproveri della madre che trova sempre qualcosa che non va: lo studio, le amicizie, la sua timidezza. E non perde occasioni per sottolinearlo. Di fatto, A. subisce una situazione in cui la madre non esprime una regola esplicita, ma si aspetta che la figlia vi si conformi comunque. Salvo punirla quando non le riesce bene.
§ Agli occhi della madre, la pz appare una ragazzina modello per ciò che riguarda lo studio), tanto da vantarsene con le colleghe (insegnanti). In realtà, A. è una ragazzina frustrata che rinuncia ad esprimere i suoi bisogni.
Appare altrettanto legittimo chiedersi come mai la pz non abbia esercitato un’altra forma di controllo, a fronte di situazioni connotate come incerte. Perchè tende ad esercitare un controllo proprio sul corpo?
Probabilmente, perchè ha imparato ad orientare l’attenzione sul corpo. Si pensi all’episodio del busto, accadutole quando A. aveva 14 anni: si percepiva diversa dalle sue amiche, si vedeva brutta. Aveva il timore di emanare cattivo odore e di essere sporca.
Un altro aspetto interessante riguarda la dimensione sociale.
La particolare sensibilità al giudizio altrui pone la pz – a fronte di situazioni sociali connotate come minacciose alla propria immagine (trovarsi nella condizione di dover accettare una qualche forma di confronto; esprimere un’opinione suscettibile di critica; esporsi alla valutazione degli altri) – a rapportarsi con sospetto e diffidenza: ha paura di essere criticata, mal giudicata, delusa.
Inoltre, A. sembra trascorrere la sua infanzia in un ambiente in cui si respira sovente un clima di tensione (rapporto dei genitori) ed è sconsigliato rendere esplicito uno stato d’animo negativo, in quanto potenzialmente peggiorativo di una situazione di per sé già difficile. E’ come se vigesse una regola tacita secondo la quale “…è meglio salvare le apparenze”, fingendo di stare bene, anziché manifestare le proprie emozioni.
In realtà, A. ha difficoltà a sapere se quello che pensa e prova è giusto o sbagliato, non fidandosi del suo giudizio come adeguato. E’ probabile che ciò si rifletta sulle scelte della pz, dalle più importanti a quelle apparentemente marginali.
A. si accusa di non sapere cosa fare, come agire; di non essere in grado di progettare il proprio futuro. Verosimilmente, più che una mancanza di abilità, sembrerebbe che la pz non sappia assumersi responsabilità e far valere il proprio punto di vista.
Dovendo estrapolare una regola generale di funzionamento attuale della pz, si potrebbe ipotizzare una sequenza comportamentale in cui l’emissione di una condotta sintomatica è regolata da situazioni in cui prevale la connotazione di incertezza o invalidazione dell’identità.