Strategia terapeutica

Nella prima fase di trattamento, l’interesse del terapeuta si è orientato alla costruzione di una relazione terapeutica caratterizzata da un atteggiamento di comprensione del disagio e disponibilità ad accogliere la sofferenza della pz. Il tutto all’interno di un clima rassicurante, ma evitando di offrire risposte “certe” o previsioni assolutamente ottimistiche: nonostante le insistenze della pz, relativamente – per esempio – al buon esito della terapia.

Si dimostra funzionale esplorare gli schemi cognitivi della pz mediante la raccolta di protocolli A/B/C. Ciò rende possibile intervenire sin dall’inizio a ridurre le generalizzazioni che caratterizzano il funzionamento psicologico (vedere uno specifico evento negativo come assoluto piuttosto che come uno tra tanti), le doverizzazioni (l’uso del “Devo” che controlla un comportamento) e le interpretazioni catastrofiche (trattare gli eventi negativi come intollerabili e catastrofi).

Specificamente, il tentativo di ridurre i processi di ipergeneralizzazione che implicano l’immagine di sé, si traduce nell’opportunità di applicare tecniche di contestualizzazione, al fine di aiutare la pz a discriminare tra sé come oggetto (“Io sono inadeguata”) e sé come punto di vista (“Io mi sento di essere inadeguata e/o faccio cose da persona inadeguata”): alterando il legame funzionale tra classi di situazioni e risposte che “controllano” la visione di sé ed operando una distinzione tra la pz che si osserva ed il contenuto delle sue osservazioni; facendole altresì sperimentare che la percezione negativa di sé e del futuro non derivano da una fedele riproduzione della realtà, ma da pensieri che possono essere trattati in altro modo. L’obiettivo finale consiste nella possibilità di costruire nuove realtà in cui l’autovalutazione deriva dalle esperienze, rendendo – per esempio – inefficace il comportamento di evitamento.

Relativamente alla difficoltà della pz di prendere decisioni ed assumersi la responsabilità delle proprie scelte, l’intervento terapeutico si concretizza – mediante l’applicazione di strategie di Problem Solving – ad offrire modalità alternative di risoluzione dei problemi che attivano nella pz vissuti di incertezza.

La necessità di operare un intervento finalizzato al miglioramento del funzionamento sociale, si traduce nella possibilità di ottenere un cambiamento soprattutto per quanto riguarda la capacità della pz di manifestare comportamenti assertivi. Tale obiettivo viene perseguito impostando un programma che prevede esercizi di Role Playing o interazioni simulate, oltre ad un training di assertività.

Successivamente – in una fase in cui la relazione terapeutica si è ormai consolidata e la motivazione di cambiamento della pz è stata sostenuta e verificata adeguatamente – la strategia terapeutica si orienta ad esporre la pz alle situazioni temute.

A: Stimolo scatenante (pensiero blasfemo, ingiurie contro Dio)

 

B: Valutazione di minaccia («Avere pensieri blasfemi può farmi diventare peccatrice e immorale»)

 

C/A’: Ansia

 

B’: Valutazione negativa («Sono un’ingiuriosa, ma se riesco a controllare i miei pensieri andrà tutto bene»)

 

C’: Comportamenti protettivi per cercare di annullare i pensieri (paradosso dell’intenzionalità). Riduzione dell’ansia.

Figura 1. Esempio di modello cognitivo

Relativamente alla riduzione del comportamento ritualistico, si ritiene tecnicamente opportuno procedere alla presentazione ed introduzione della tecnica di Esposizione con Prevenzione della Risposta (E/RP), avendo preventivamente presentato il modello cognitivo del disturbo ossessivo-compulsivo e ricorrendo – anche questa volta – alla raccolta di protocolli A/B/C: al fine di ricostruire e condividere lo schema di funzionamento.