di Giuseppe Femia

Quando dopo un film ti ritrovi in una piazza romana ormai notturna con una sigaretta accesa e quell’emozione in testa, allora sei stato al cinema, davvero al cinema!

Il film “Diamanti” di Ferzen Ozptek ti catapulta in un femminile travolgente da materno a sensuale che da un pozzo di dolore – di sottomissione – escogita un antidoto sartoriale al femminicidio.

La sartoria diventa un luogo di emancipazione del femminile in cui la creatività coesa e cooperativa gestisce conflitti e drammi. Un bimbo nascosto fra tende di bottoni tutto ascolta e tutto incamera. Diventa il testimone di verità che scorrono, accudito con amore. E poi due sorelle: una con un carattere forte, caparbio intransigente, almeno all’apparenza, ed una fragile che elabora un dolore drammatico che la strugge per anni e si scioglie in un abbraccio che piange.

Sono tanti i temi psicologici che scorrono: la forza, la dipendenza, la resilienza, e poi l’amicizia e l’importanza di avere relazioni che tengono e contengono. Il femminile che vince, il maschile in sottofondo come desiderio e come oggetto – una reazione allo stereotipo maschile che domina. Una storia costruita come un qualcosa che guarisce chi è stato testimone di violenza. La creatività diventa l’antidoto alla sofferenza e da qui la genesi della regia come mestiere che nasce da un dolore – si traccia con chiarezza la linea fra sofferenza e arte. La linea delinea vissuti emotivi di angoscia e tensione che si muovono dietro al successo delle proprie creazioni. La creatività diventa dunque la regina dei coping adattivi per abbattere trauma e dolore psichico.

Un adolescente si risveglia da un momento depressivo che forse disvela un momento di sofferenza realmente vissuto che qui nella costruzione narrativa viene affidata a un personaggio ma forse parla dal passato. Un coro di donne proietta su un costume desideri e vissuti emotivi.

Il rosso che governa esprime tutto il carattere dell’amore, della passione e del materno che tutto tiene. Femminista ma empatico questo film sconfigge stereotipi e dipinge la forza dell’accudimento che si esprime attraverso il cibo e banchetti che consolano e leniscono. Il tavolo imbandito mette assieme e promuove scambio e sostegno psicologico. La psicologia di questo film non parla di una storia ma di tante storie e le storie curano e raccolgono credenze, vissuti e significati. Le storie generano identità, spiegano e confortano .

Un film che sbroglia nodi emotivi e disconferma l’idea che vulnerabili significa deboli. Proprio dalla debolezza sì genera una potenza che tutto risolve. ‎Ma forse per la prima volta il regista diventa attore e sbuca nella sua opera commosso a disvelare l’origine dei ricordi e vissuti del passato – un pesciolino rosso che rappresenta ricordi di amore e poi l’amore che torna dal passato ancora vivido. Gli occhiali della regia nascondono un bambino che si racconta dietro l’adulto regista del rosso diamante . Si sente l’esigenza di voler raccontare parti di sé e di quel vissuto che brucia – di quella storia che tocca ancora corde sensibili. Certamente si narra di un’ingiustizia subita e di una fantasia che punisce il malevolo. Scorrono sentimenti di gioia, ma anche di colpa che cerca di espiare con altruismo e rinunzia e di tristezza che si consola con ironia e ambizione.

Dal pozzo si può uscire, ma spesso la vita si mescola nei sentimenti e inciampa nelle intenzioni. Si parla di desideri, di quegli scopi sani che tutto salvano e delle credenze disfunzionali che ripetono nelle relazioni schemi maladattivi.

La realtà si sporca di fantasie: quanto ci piace il lieto fine di qualcosa di drammatico? La fantasia che diventa salvifica e che annulla il cattivo – che uccide nella dicotomia bene e male – molto presente nella rappresentazione fornita, quella parte cattiva che merita ammonimento e condanna. Quanto sono salienti i nostri ricordi nella nostra psicologia attuale.

Perché i ricordi sono così importanti? Certamente questa pellicola riavvolge una storia personale che poi avvolge tante altre storie ma in qualche senso parla di un qualcosa di molto intimo che si osserva fra un personaggio ed un costume. Una parte bambina nascosta appunto riavvolge e rivive nel vero protagonista del film: colui che ha la regia di quel TUTTO che si incastra.

Un film psicologico dove la fantasia sconfigge schemi di violenza e dove si traccia la genesi della creatività: sovrana risorsa di elaborazione psichica.