di Lucia Destino
“L’unico segreto dell’amicizia, credo, è trovare persone migliori di te – non più furbe o più vincenti, ma più gentili, più generose, e più comprensive -, apprezzarle per ciò che possono insegnarti, cercare di ascoltarle quando ti dicono qualcosa su di te, bella o brutta che sia, e fidarti di loro, che è la parte più difficile di tutte. Ma anche la più importante.”
Il secondo lavoro di Hanya Yanagihara, edito in Italia da Sellerio nel 2015, è un trattato sull’amicizia, ma non solo.
Ci troviamo a New York e ci immergiamo nelle vite di quattro giovani ragazzi: Willem, cameriere gentile e aspirante attore; Jb, artista complesso e tormentato; Malcom, architetto irrisolto e Jude, brillante studente di giurisprudenza, estremamente riservato.
L’autrice ci introduce le loro storie e ci fa conoscere le loro caratteristiche e le dinamiche interpersonali che intercorrono tra i personaggi.
Progressivamente viene portata in primo piano la storia di Jude e il ritmo narrativo accellera, diventa vorticoso e scandito da continui flashback sul passato del protagonista e sui suoi traumi.
Jude è stato infatti abbandonato, abusato, rapito, umiliato.
Esperienze estreme e ripetute che inevitabilmente influenzano la sua personalità in formazione, la sua idea di sé, le sue relazioni interpersonali e il rapporto con il suo corpo, vissuto come disgustoso, immorale, colpevole.
Jude sperimenterà tutti i sintomi tipici del C-PTSD: memorie vivide e intrusive, evitamenti, iperarousal, autolesionismo, discontrollo degli impulsi, dissociazione.
Nella storia di Jude troviamo un’eziologia di traumi esperiti dalla prima infanzia fino all’adolescenza e una percezione di sé pesantemente invalidata dalle esperienze d’abuso: tale senso di indegnità risulta impermeabile al cambiamento, ai vari tentativi da parte degli amici, di Willem e di Harold di “correggere” la rappresentazione di sé creando nuovi significati.
Inoltre Jude ricerca ciò che conosce, imbarcandosi in relazioni sessuali non paritarie che, in un circolo vizioso distruttivo, rimandano e rinforzano continuamente l’immagine di sé e del suo corpo come rivoltante, indegno, danneggiato, irrimediabilmente colpevole.
È interessante cogliere la complessità di Jude, la cui storia viene sapientemente ricomposta: ogni tassello viene messo al suo posto, in una sorta di paziente ricostruzione della formazione della sua identità.
Seguiremo le vicende dei quattro amici per trent’anni: Jude si realizza e si rapporta a molteplici personaggi, le sue relazioni sono lo specchio del suo vissuto e del suo percorso in cui la vicinanza e l’intimità sono sinonimi di pericolo, ma anche di salvezza.
La Yanagihara si dimostra un’abile esploratrice dell’anima umana: l’introspezione di tutti i personaggi è accurata e la loro psicologia dettagliata e soprattutto coerente.
Il risultato è una narrazione struggente, dolorosa e commovente, uno di quei libri che continua a farsi sentire anche una volta riposto in libreria.
I colleghi non potranno fare a meno di riconoscersi nel terapeuta di Jude, empatizzando con la sua frustrazione e riconoscendo i suoi limiti, che sono inevitabilmente anche i nostri.
“Una vita come tante” è quindi un romanzo viscerale, potente, terribile, imperdibile, che non posso che consigliare perché affronta e scava temi importanti come il trauma, la fiducia, l’amicizia, il dolore e l’amore, sempre in bilico tra la colpa e la ricerca di redenzione.
Per ricordarci, ancora una volta, l’importanza delle relazioni interpersonali, della gentilezza e del “prendersi cura” come arte imperfetta, ma essenziale.
“Se fossi una persona diversa, forse direi che ciò che è accaduto è una metafora della vita: le cose si rompono, a volte si aggiustano, e ci rendiamo conto che, per quanti danni possiamo subire, la vita ci ricompensa quasi sempre, spesso in modo meraviglioso. A pensarci bene… forse sono proprio quel genere di persona.”